La recensione
Campogalliani
Sul palco esperienza e talento
Al Teatrino d’Arco, si sta rappresentando, in prima assoluta per l’Italia, un atto unico dell’americana Kate Moira Ryan, tradotto da Antonia Brancati, “La Gabbia delle Scimmie” per la regia di Grazia Bettini, con cinque attrici, quante sono le persone, di nazionalità americana, che nel 1942 i nazisti concentrano in una gabbia del Jardin d’Acclimation, al Bois de Boulogne (Parigi). Inizialmente dono dolo quattro e si chiedono il perché del fermo, a diversi mese dall’ingresso in guerra degli Stati Uniti.
Le ragioni diverranno chiare sul finale dell’atto.
Al momento facciamo la loro conoscenza: un approccio al comportamento delle americane di fronte alla guerra e alla deportazione. Due appartengono all’alta società, le signore Bedaux (Loredana Sartorello), e Noel Murphy (Roberta Vesentini); la prima è sposata a un industriale che dovrebbe costruire un oleodotto in Africa, e appunto per questo ripetutamente avanza pretese dal giovane nazista soprannominato Parsifal (Paolo di Muro), perché avvisi l’ambasciata tedesca del suo arresto. La seconda, vedova assai facoltosa, e altrettanto arrogante, se non sboccata, è a suo modo antisemita. L’apoliticità sbandierata da entrambe palesa tuttavia uno status diverso, nell’uno un’altezzosità che alla lunga può concedersi delle aperture regali verso i ceti subalterni, se non generosità per l’ebrea quand’essa viene aggregata alle quattro, e nell’altra un pragmatismo volgare, che senx mezzi termini pone la sua salvezza davanti alla sorte delle altre.
Un comportamento così sfacciato da far pensare a una commedia all’italiana. Le altre due, subalterne, anche se culturalmente più agguerrite, sono la Beach (Margherita Governi), titolare della celebre libreria internazionale “Shakespeare & Co.”, e in borsetta tiene addirittura la prima edizione dell’“Ulixes” joyciano, e Leyton (Serena Zerbetto) ex attrice che si è ritirata in campagna, e pare la più accesa politicamente. A sorpresa viene introdotta Marcelle (Jennifer Aliprandi), ebrea francese ma figlia di un americano, che ha l’opportunità di raccontare la razzia e la deportazione delle famiglie ebraiche.
Le schermagli, dettate dalle rispettive posizioni sociali, esplodono improvvisamente per una sorta di agnizione che chiude la tragicommedia.
Uno spettacolo decoroso, che si segue con vivo interesse grazie alla concentrazione con mano sicura della Bettini che alterna memoria storica, fragilità di coscienze, parole oltraggiose e risoluzioni inattese ma convincenti, in una parola, offrendo un minimo di comicità in un contesto misteriosamente drammatico, l’enigma viene sciolto con un unico proposito: resistenza.
L’esito è condizionato dalla buona resa della compagnia attoriale, in cui l’esuberanza iniziatica si coniuga con l’esperienza e il talento.
Alberto Cattini