Un Pigmalione - Narciso al Teatro Sociale
Il capolavoro di George Bernard Shaw ha dato il via alla rassegna i Grandi Classici dell’Accademia Campogalliani
08/10/2016
di Maria Luisa Abate
In occasione del Settantennale, l’Accademia Teatrale “ Francesco Campogalliani” porta sul palcoscenico de Teatro Sociale la rassegna “I grandi classici”. Il primo titolo è stato Pigmalione, di cui riproponiamo la recensione pubblicata in occasione del debutto di questo allestimento, nel dicembre 2012.
«George Bernard Shaw si ispira al mito di Pigmalione cantato da Ovidio (che a sua volta opera una rilettura della mitologia anteriore), ma in un certo qual modo lo capovolge, o per meglio dire lo inquadra sotto diversa prospettiva. Il suo protagonista non si innamora della statua di Venere, bensì accoglie in casa una stracciona ben lontana dall’avvenenza della dea, che può definirsi la negazione stessa della donna, più precisamente del prototipo femmineo come imposto dalla società inglese d’inizio novecento. Non a caso la versione italiana di Luigi Lunari ha tenuto conto della necessità di riproporne l’attualità, attingendo dal linguaggio moderno parecchie espressioni colorite ed esplicite (per quanto crediamo ormai anch’esse datate). Di Ovidio rimane l’innamoramento dell’artista verso il prodotto della sua arte.
Infatuazione che Diego Fusari, sotto la direzione di Maria Grazie Bettini, ha molto correttamente tradotto in termini narcisistici. Il Prof. Higgins non prova sentimenti nei confronti della crisalide Elisa Dolittle, ma è infervorato della propria capacità d’estrarla dal bozzolo. Fusari/Higgins non lesina atteggiamenti di spiritoso autocompiacimento e di ridicola presuntuosità per nulla scalfita dalle continue sferzate materne, sapientemente dosati tra un modo di fare sornione e accattivante, e quella sottile antipatia emanata da coloro che sono troppo pieni di sé. È solito trattare gli estranei con altezzosità e la sufficienza con cui inizialmente approccia la povera fioraia, per quanto produca risultati risibili, si tramuta in molto poco amoroso istinto di conquistare un ulteriore trofeo da esporre nella vetrina dei successi letterari: per lui Elisa è né più né meno un libro dalle pagine bianche su cui si sente autorizzato a scrivere un nuovo destino, mettendo affatto in conto il vantaggio che ne trarrà la beneficiaria.
Shaw ebbe molti ripensamenti circa il finale, ma non cedette mai alle pressioni del pubblico e degli attori per dare alla storia un lieto fine romantico, a suo dire impossibile. Bettini ha voluto lasciare la conclusione aperta alle possibilità immaginate da ciascun spettatore. Rossella Avanzi, come già abbiamo detto in precedenti occasioni, trova il proprio punto di forza nell’intensità eloquente dello sguardo, passato dall’incontrollabile impeto iniziale di Elisa fatto di scatti furibondi e ridondanti, ad una pacata consapevolezza andata ben oltre l’acquisita signorilità di modi che, ferendo lo smisurato ego dell’istruttore, si è tramutata in presa di coscienza di sé. L’humor tipicamente britannico con cui Francesca Campogalliani ha delineato la Sig.ra Higgins ha trovato espressioni di straordinaria naturalezza. Così come notevolissima è stata la prova di Adolfo Vaini nei panni di Alfred Doolittle, ubriacone di cui ha magistralmente esasperato gli eccessi, facendone un personaggio esilarante ma comunque sempre credibile, intriso da un substrato di umanità. (…)
Come facente parte del cast, per avere di fatto assunto un ruolo importante nell’economia dello spettacolo, citiamo le bellissime scenografie di Fusari, Pizzoli e Zolin, che hanno simpaticamente quanto efficacemente traghettato gli arredi d’epoca in uno stile attuale e di bellissima linearità, amplificata dalle luci di Giorgio Codognola. Curatissimi nei dettagli i costumi di Campogalliani e Fusari; attinta ad una versione non cantata del celeberrimo musical My Fair Lady la colonna sonora selezionata da Nicola Martinelli».