- Giardino delle rimembranze del Cimitero monumentale degli Angeli
- giovedì 29 maggio 2025
- 18:00
-
Ingresso gratuito
29
mag
NOTA DELL’AUTORE
Tradizione vuole che, in punto di morte, Virgilio abbia chiesto con insistenza la distruzione della sua opera incompiuta, il poema epico che ancora non si chiamava Eneide. Ma il poema era una straordinaria celebrazione di Roma e del suo mito, bella nella sua incompiutezza: Vario Rufo, poeta a sua volta e amico di Virgilio, non obbedì alla richiesta ed ebbe da Augusto l’incarico di curare la pubblicazione dell’Eneide così come Virgilio l’aveva lasciata. È per una disobbedienza alla volontà di un amico defunto che il poema è giunto a noi attraverso venti secoli, con l’occasionale verso imperfetto, con qualche incoerenza, con le sue asimmetrie narrative e con un eroe cui forse – forse! – l’autore non ha fatto in tempo a instillare, a completamento delle virtù romane, la scintilla vitale. I latinisti si sono interrogati a non finire sul brusco finale del Libro XII, e innumerevoli generazioni di studenti ginnasiali, me compresa, hanno storto il naso davanti al Pio Enea, più paradigma di obbedienza e abnegazione che essere umano. Rileggendo il poema con occhi adulti, e con la libertà e il gusto di cui non avevo beneficiato sui banchi di scuola, mi sono trovata a meditare, più che sulle vicende di Enea e dei suoi, su ciò che Virgilio non ebbe tempo di compiere prima di morire. La tentazione di considerare la gelida caratterizzazione di Enea un difetto da prima stesura era irresistibile – e non ho resistito. Il mio Virgilio, che torna nei sogni di Vario Rufo per deciderlo a bruciare il manoscritto incompiuto, non si preoccupa tanto dell’imperfezione dei versi, quanto di non avere avuto il tempo di tratteggiare compiutamente i significati e i messaggi che voleva nella sua opera. Ma a complicare il dilemma di Vario, lacerato tra la lealtà all’amico e l’ammirazione per il poema, irrompono nel sogno i personaggi dell’Eneide – non l’eroe eponimo e vincitore, ma gli sconfitti: Creusa, Turno e Amata, colmi di risentimento e certi che solo la distruzione del manoscritto li libererà dalla sorte cui Virgilio li ha condannati. Ed ecco che la lotta per il rogo dell’Eneide diventa una metafora per l’intrecciarsi di arte e vita, dovere e istinti primari, libero arbitrio e destino, amore, sconfitta, giustizia e memoria – in una parola, l’umanità. Difficilmente la questione di che cosa davvero mancasse al compimento dell’Eneide troverà una risposta inoppugnabile. Dove storiografia e filologia non possono giungere, tuttavia, al teatro è consentito tessere, con la richiesta di Virgilio, i dubbi di Vario e la volontà di Augusto, una riflessione sul rapporto tra l’autore e la sua opera.