- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 22 novembre 2024
- 20:45
due atti unici:
Il guanto
di Maurice Hennequin
Regia di Marco Federici
Il Povero Piero
dai racconti di Achille Campanile
Regia di Italo Scaietta
IL GUANTO
Atto unico rappresentato per la prima volta al Parigi al Teatro del Palais Royal nel 1905. Una moglie gelosa tormenta in tutti i modi il marito dopo il rinvenimento di un guanto appartenente a qualcun altro. Il marito avrà ben presto modo di vendicarsi., fra la complicità e il divertimento del pubblico.
Note di regia
Tra moglie e marito non mettere il… Guanto! Ma quando questo compare nelle tasche di Boisjoli ecco che Blanche, da brava moglie gelosa, si appresta a chiedere il divorzio proprio come la sua amica Mathilde. Andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1905, “Il Guanto” è uno spaccato della società del tempo, con i suoi fraintendimenti, le sue bugie e i suoi duelli, ma soprattutto è la gelosia (motivata o meno) a tenere in piedi la struttura della pièce.
L’inanellarsi di situazioni surreali, di incomprensioni, di sincere bugie e svenimenti porta lo spettatore a sorridere delle disavventure del povero Boisjoli, la cui giornata è guastata dal futuro duello con Cotanson e quel maledetto guanto trovato nella sua giacca.
La regia vuole appunto mettere in mostra questi rapporti che, all’apparenza molto solidi, reggono su piedistalli alle volte fragili e facili all’incrinamento. Il divano diventa quindi un muro dietro cui si difendono i coniugi e dal quale scagliano gli strali l’uno verso l’altra. La poltrona sorreggerà l’avversario Cotanson quando colpito da svenimenti, proprio come un eroe del Metastasio.
In tutto questo trambusto dove anche la domestica si sente in diritto di ficcare il naso e ascoltare dietro le porte, una domanda sorge spontanea: ma questo guanto, di chi è?
IL POVERO PIERO
Una famiglia viene sconvolta dalla scomparsa del “Povero Piero” e dal conseguente ritrovamento delle sue ultime volontà. Il defunto, nel testamento, dà ordine che si dia notizia della sua morte solamente una volta avvenute le esequie. Teresa (la vedova), la sua amica e le persone che vivevano in casa con Piero dovranno lottare contro parecchi imprevisti per tener celata la cosa ma… .
È possibile ridere della tristezza altrui? Forse, quando le situazioni diventano così paradossali.
Quando viene raccontato dalla penna graffiante e ironica di uno scrittore come Achille Campanile, anche un lutto si può trasformare in una commedia di esilarante comicità.
Una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere.
Alla morte del "povero Piero" i familiari cercano di rispettarne le ultime volontò: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici.
Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale.
Scritto come romanzo nel 1959 e successivamente tradotto in forma scenica dallo stesso autore - che però non ha mai dato una forma definitiva alla commedia, lasciando anche innumerevoli varianti - Il povero Piero è un graffiante ritratto della società moderna, un’acuta osservazione dei vizi e delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici, colti in un momento di alta ritualità.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 23 novembre 2024
- 20:45
due atti unici:
Il guanto
di Maurice Hennequin
Regia di Marco Federici
Il Povero Piero
dai racconti di Achille Campanile
Regia di Italo Scaietta
IL GUANTO
Atto unico rappresentato per la prima volta al Parigi al Teatro del Palais Royal nel 1905. Una moglie gelosa tormenta in tutti i modi il marito dopo il rinvenimento di un guanto appartenente a qualcun altro. Il marito avrà ben presto modo di vendicarsi., fra la complicità e il divertimento del pubblico.
Note di regia
Tra moglie e marito non mettere il… Guanto! Ma quando questo compare nelle tasche di Boisjoli ecco che Blanche, da brava moglie gelosa, si appresta a chiedere il divorzio proprio come la sua amica Mathilde. Andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1905, “Il Guanto” è uno spaccato della società del tempo, con i suoi fraintendimenti, le sue bugie e i suoi duelli, ma soprattutto è la gelosia (motivata o meno) a tenere in piedi la struttura della pièce.
L’inanellarsi di situazioni surreali, di incomprensioni, di sincere bugie e svenimenti porta lo spettatore a sorridere delle disavventure del povero Boisjoli, la cui giornata è guastata dal futuro duello con Cotanson e quel maledetto guanto trovato nella sua giacca.
La regia vuole appunto mettere in mostra questi rapporti che, all’apparenza molto solidi, reggono su piedistalli alle volte fragili e facili all’incrinamento. Il divano diventa quindi un muro dietro cui si difendono i coniugi e dal quale scagliano gli strali l’uno verso l’altra. La poltrona sorreggerà l’avversario Cotanson quando colpito da svenimenti, proprio come un eroe del Metastasio.
In tutto questo trambusto dove anche la domestica si sente in diritto di ficcare il naso e ascoltare dietro le porte, una domanda sorge spontanea: ma questo guanto, di chi è?
IL POVERO PIERO
Una famiglia viene sconvolta dalla scomparsa del “Povero Piero” e dal conseguente ritrovamento delle sue ultime volontà. Il defunto, nel testamento, dà ordine che si dia notizia della sua morte solamente una volta avvenute le esequie. Teresa (la vedova), la sua amica e le persone che vivevano in casa con Piero dovranno lottare contro parecchi imprevisti per tener celata la cosa ma… .
È possibile ridere della tristezza altrui? Forse, quando le situazioni diventano così paradossali.
Quando viene raccontato dalla penna graffiante e ironica di uno scrittore come Achille Campanile, anche un lutto si può trasformare in una commedia di esilarante comicità.
Una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere.
Alla morte del "povero Piero" i familiari cercano di rispettarne le ultime volontò: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici.
Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale.
Scritto come romanzo nel 1959 e successivamente tradotto in forma scenica dallo stesso autore - che però non ha mai dato una forma definitiva alla commedia, lasciando anche innumerevoli varianti - Il povero Piero è un graffiante ritratto della società moderna, un’acuta osservazione dei vizi e delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici, colti in un momento di alta ritualità.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 24 novembre 2024
- 16:00
due atti unici:
Il guanto
di Maurice Hennequin
Regia di Marco Federici
Il Povero Piero
dai racconti di Achille Campanile
Regia di Italo Scaietta
IL GUANTO
Atto unico rappresentato per la prima volta al Parigi al Teatro del Palais Royal nel 1905. Una moglie gelosa tormenta in tutti i modi il marito dopo il rinvenimento di un guanto appartenente a qualcun altro. Il marito avrà ben presto modo di vendicarsi., fra la complicità e il divertimento del pubblico.
Note di regia
Tra moglie e marito non mettere il… Guanto! Ma quando questo compare nelle tasche di Boisjoli ecco che Blanche, da brava moglie gelosa, si appresta a chiedere il divorzio proprio come la sua amica Mathilde. Andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1905, “Il Guanto” è uno spaccato della società del tempo, con i suoi fraintendimenti, le sue bugie e i suoi duelli, ma soprattutto è la gelosia (motivata o meno) a tenere in piedi la struttura della pièce.
L’inanellarsi di situazioni surreali, di incomprensioni, di sincere bugie e svenimenti porta lo spettatore a sorridere delle disavventure del povero Boisjoli, la cui giornata è guastata dal futuro duello con Cotanson e quel maledetto guanto trovato nella sua giacca.
La regia vuole appunto mettere in mostra questi rapporti che, all’apparenza molto solidi, reggono su piedistalli alle volte fragili e facili all’incrinamento. Il divano diventa quindi un muro dietro cui si difendono i coniugi e dal quale scagliano gli strali l’uno verso l’altra. La poltrona sorreggerà l’avversario Cotanson quando colpito da svenimenti, proprio come un eroe del Metastasio.
In tutto questo trambusto dove anche la domestica si sente in diritto di ficcare il naso e ascoltare dietro le porte, una domanda sorge spontanea: ma questo guanto, di chi è?
IL POVERO PIERO
Una famiglia viene sconvolta dalla scomparsa del “Povero Piero” e dal conseguente ritrovamento delle sue ultime volontà. Il defunto, nel testamento, dà ordine che si dia notizia della sua morte solamente una volta avvenute le esequie. Teresa (la vedova), la sua amica e le persone che vivevano in casa con Piero dovranno lottare contro parecchi imprevisti per tener celata la cosa ma… .
È possibile ridere della tristezza altrui? Forse, quando le situazioni diventano così paradossali.
Quando viene raccontato dalla penna graffiante e ironica di uno scrittore come Achille Campanile, anche un lutto si può trasformare in una commedia di esilarante comicità.
Una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere.
Alla morte del "povero Piero" i familiari cercano di rispettarne le ultime volontò: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici.
Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale.
Scritto come romanzo nel 1959 e successivamente tradotto in forma scenica dallo stesso autore - che però non ha mai dato una forma definitiva alla commedia, lasciando anche innumerevoli varianti - Il povero Piero è un graffiante ritratto della società moderna, un’acuta osservazione dei vizi e delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici, colti in un momento di alta ritualità.
... credevo fosse amore
- Sala dei Capi - Barbasso
- lunedì 25 novembre 2024
- 18:30
Reading teatrale contro la violenza sulle donne
Evento gratuito aperto a tutti
Organizzato da Comitato di paese BDG (Barbasso, Garolda, Pontemerlano)
Cristina De Biasi e Serena Zerbetto attrici della Accademia Teatrale Campogalliani
Daniela Coaro, Lorena Mettifogo, Elisabetta Trolese
grafica e audio Tanja Salvagno
con la coreografia di Pietro Mattioli
QUESTA DI MARINELLA
- Sala Polivalente di Villimpenta MN
- lunedì 25 novembre 2024
- 20:30
Diritti delle donne, una storia vera, di diritti negati
raccontata da
SENZATRUCCO ENSEMBLE
Roberta Vesentini
Stefano Boccafoglia
Marco Remondini
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- lunedì 25 novembre 2024
- 21:00
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Regia di Maria Grazia Bettini
INGRESSO GRATUITO
Prenotazione posti presso il Teatrino di Palazzo d’Arco (da giovedì a sabato dalle 17:30 alle 19:00), con e-mail a
biglietteria@teatro-campogalliani.it, per telefono 375 7384473 o tramite il sito www.teatro-campogalliani.it
Note di regia
In questo spettacolo gli attori esprimeranno con poesie, monologhi e atti unici diversi tipi di Confusione d’Amore
L’amore è uno degli aspetti più complessi e affascinanti della vita umana. Tuttavia, non tutti gli amori sono sani o autentici. Distinguere tra un amore vero e uno sbagliato può fare la differenza tra una vita piena di felicità e una piena di frustrazione.
Confondere l’amore con il possesso
Una delle manifestazioni più negative dell’amore è la possessività. Essere possessivi in amore significa avere un desiderio eccessivo di controllo sull’altro, di monopolizzare il suo tempo, di limitare la sua libertà e di sentirsi minacciati da altre persone o situazioni che potrebbero mettere in discussione la relazione.
Confondere l’amore con l’abitudine
Capita molto spesso di adattarsi e accontentarsi in una relazione. La routine e la ripetizione all’interno le tue giornate esercitano un potere incredibile su di te: ti fanno sentire al sicuro e all’interno della tua zona comfort.
Confondere l’amore con la gratitudine
Un’altra sensazione che è molto facile confondere con l’amore è la gratitudine.
Confondere l’amore con la paura di restare soli
Amare non significa aver bisogno di una persona, significa essere liberi di scegliere e voler stare con una persona. Un legame di dipendenza è condizionante e basato sulla paura di perdere l’altro.
Confondere l’amore con la dipendenza
La dipendenza affettiva si riconosce nel momento in cui relazione di coppia viene vissuta come indispensabile per la propria esistenza, quando non si percepisce più una certa autonomia, non si ascoltano più i propri bisogni.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- giovedì 28 novembre 2024
- 21:00
Giornata internazionale contro la violenza sulle donne
Regia di Maria Grazia Bettini
INGRESSO GRATUITO
Prenotazione posti presso il Teatrino di Palazzo d’Arco (da giovedì a sabato dalle 17:30 alle 19:00), con e-mail a
biglietteria@teatro-campogalliani.it, per telefono 375 7384473 o tramite il sito www.teatro-campogalliani.it
Note di regia
In questo spettacolo gli attori esprimeranno con poesie, monologhi e atti unici diversi tipi di Confusione d’Amore
L’amore è uno degli aspetti più complessi e affascinanti della vita umana. Tuttavia, non tutti gli amori sono sani o autentici. Distinguere tra un amore vero e uno sbagliato può fare la differenza tra una vita piena di felicità e una piena di frustrazione.
Confondere l’amore con il possesso
Una delle manifestazioni più negative dell’amore è la possessività. Essere possessivi in amore significa avere un desiderio eccessivo di controllo sull’altro, di monopolizzare il suo tempo, di limitare la sua libertà e di sentirsi minacciati da altre persone o situazioni che potrebbero mettere in discussione la relazione.
Confondere l’amore con l’abitudine
Capita molto spesso di adattarsi e accontentarsi in una relazione. La routine e la ripetizione all’interno le tue giornate esercitano un potere incredibile su di te: ti fanno sentire al sicuro e all’interno della tua zona comfort.
Confondere l’amore con la gratitudine
Un’altra sensazione che è molto facile confondere con l’amore è la gratitudine.
Confondere l’amore con la paura di restare soli
Amare non significa aver bisogno di una persona, significa essere liberi di scegliere e voler stare con una persona. Un legame di dipendenza è condizionante e basato sulla paura di perdere l’altro.
Confondere l’amore con la dipendenza
La dipendenza affettiva si riconosce nel momento in cui relazione di coppia viene vissuta come indispensabile per la propria esistenza, quando non si percepisce più una certa autonomia, non si ascoltano più i propri bisogni.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 29 novembre 2024
- 20:45
due atti unici:
Il guanto
di Maurice Hennequin
Regia di Marco Federici
Il Povero Piero
dai racconti di Achille Campanile
Regia di Italo Scaietta
IL GUANTO
Atto unico rappresentato per la prima volta al Parigi al Teatro del Palais Royal nel 1905. Una moglie gelosa tormenta in tutti i modi il marito dopo il rinvenimento di un guanto appartenente a qualcun altro. Il marito avrà ben presto modo di vendicarsi., fra la complicità e il divertimento del pubblico.
Note di regia
Tra moglie e marito non mettere il… Guanto! Ma quando questo compare nelle tasche di Boisjoli ecco che Blanche, da brava moglie gelosa, si appresta a chiedere il divorzio proprio come la sua amica Mathilde. Andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1905, “Il Guanto” è uno spaccato della società del tempo, con i suoi fraintendimenti, le sue bugie e i suoi duelli, ma soprattutto è la gelosia (motivata o meno) a tenere in piedi la struttura della pièce.
L’inanellarsi di situazioni surreali, di incomprensioni, di sincere bugie e svenimenti porta lo spettatore a sorridere delle disavventure del povero Boisjoli, la cui giornata è guastata dal futuro duello con Cotanson e quel maledetto guanto trovato nella sua giacca.
La regia vuole appunto mettere in mostra questi rapporti che, all’apparenza molto solidi, reggono su piedistalli alle volte fragili e facili all’incrinamento. Il divano diventa quindi un muro dietro cui si difendono i coniugi e dal quale scagliano gli strali l’uno verso l’altra. La poltrona sorreggerà l’avversario Cotanson quando colpito da svenimenti, proprio come un eroe del Metastasio.
In tutto questo trambusto dove anche la domestica si sente in diritto di ficcare il naso e ascoltare dietro le porte, una domanda sorge spontanea: ma questo guanto, di chi è?
IL POVERO PIERO
Una famiglia viene sconvolta dalla scomparsa del “Povero Piero” e dal conseguente ritrovamento delle sue ultime volontà. Il defunto, nel testamento, dà ordine che si dia notizia della sua morte solamente una volta avvenute le esequie. Teresa (la vedova), la sua amica e le persone che vivevano in casa con Piero dovranno lottare contro parecchi imprevisti per tener celata la cosa ma… .
È possibile ridere della tristezza altrui? Forse, quando le situazioni diventano così paradossali.
Quando viene raccontato dalla penna graffiante e ironica di uno scrittore come Achille Campanile, anche un lutto si può trasformare in una commedia di esilarante comicità.
Una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere.
Alla morte del "povero Piero" i familiari cercano di rispettarne le ultime volontò: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici.
Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale.
Scritto come romanzo nel 1959 e successivamente tradotto in forma scenica dallo stesso autore - che però non ha mai dato una forma definitiva alla commedia, lasciando anche innumerevoli varianti - Il povero Piero è un graffiante ritratto della società moderna, un’acuta osservazione dei vizi e delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici, colti in un momento di alta ritualità.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 30 novembre 2024
- 20:45
due atti unici:
Il guanto
di Maurice Hennequin
Regia di Marco Federici
Il Povero Piero
dai racconti di Achille Campanile
Regia di Italo Scaietta
IL GUANTO
Atto unico rappresentato per la prima volta al Parigi al Teatro del Palais Royal nel 1905. Una moglie gelosa tormenta in tutti i modi il marito dopo il rinvenimento di un guanto appartenente a qualcun altro. Il marito avrà ben presto modo di vendicarsi., fra la complicità e il divertimento del pubblico.
Note di regia
Tra moglie e marito non mettere il… Guanto! Ma quando questo compare nelle tasche di Boisjoli ecco che Blanche, da brava moglie gelosa, si appresta a chiedere il divorzio proprio come la sua amica Mathilde. Andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1905, “Il Guanto” è uno spaccato della società del tempo, con i suoi fraintendimenti, le sue bugie e i suoi duelli, ma soprattutto è la gelosia (motivata o meno) a tenere in piedi la struttura della pièce.
L’inanellarsi di situazioni surreali, di incomprensioni, di sincere bugie e svenimenti porta lo spettatore a sorridere delle disavventure del povero Boisjoli, la cui giornata è guastata dal futuro duello con Cotanson e quel maledetto guanto trovato nella sua giacca.
La regia vuole appunto mettere in mostra questi rapporti che, all’apparenza molto solidi, reggono su piedistalli alle volte fragili e facili all’incrinamento. Il divano diventa quindi un muro dietro cui si difendono i coniugi e dal quale scagliano gli strali l’uno verso l’altra. La poltrona sorreggerà l’avversario Cotanson quando colpito da svenimenti, proprio come un eroe del Metastasio.
In tutto questo trambusto dove anche la domestica si sente in diritto di ficcare il naso e ascoltare dietro le porte, una domanda sorge spontanea: ma questo guanto, di chi è?
IL POVERO PIERO
Una famiglia viene sconvolta dalla scomparsa del “Povero Piero” e dal conseguente ritrovamento delle sue ultime volontà. Il defunto, nel testamento, dà ordine che si dia notizia della sua morte solamente una volta avvenute le esequie. Teresa (la vedova), la sua amica e le persone che vivevano in casa con Piero dovranno lottare contro parecchi imprevisti per tener celata la cosa ma… .
È possibile ridere della tristezza altrui? Forse, quando le situazioni diventano così paradossali.
Quando viene raccontato dalla penna graffiante e ironica di uno scrittore come Achille Campanile, anche un lutto si può trasformare in una commedia di esilarante comicità.
Una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere.
Alla morte del "povero Piero" i familiari cercano di rispettarne le ultime volontò: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici.
Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale.
Scritto come romanzo nel 1959 e successivamente tradotto in forma scenica dallo stesso autore - che però non ha mai dato una forma definitiva alla commedia, lasciando anche innumerevoli varianti - Il povero Piero è un graffiante ritratto della società moderna, un’acuta osservazione dei vizi e delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici, colti in un momento di alta ritualità.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 1 dicembre 2024
- 16:00
due atti unici:
Il guanto
di Maurice Hennequin
Regia di Marco Federici
Il Povero Piero
dai racconti di Achille Campanile
Regia di Italo Scaietta
IL GUANTO
Atto unico rappresentato per la prima volta al Parigi al Teatro del Palais Royal nel 1905. Una moglie gelosa tormenta in tutti i modi il marito dopo il rinvenimento di un guanto appartenente a qualcun altro. Il marito avrà ben presto modo di vendicarsi., fra la complicità e il divertimento del pubblico.
Note di regia
Tra moglie e marito non mettere il… Guanto! Ma quando questo compare nelle tasche di Boisjoli ecco che Blanche, da brava moglie gelosa, si appresta a chiedere il divorzio proprio come la sua amica Mathilde. Andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1905, “Il Guanto” è uno spaccato della società del tempo, con i suoi fraintendimenti, le sue bugie e i suoi duelli, ma soprattutto è la gelosia (motivata o meno) a tenere in piedi la struttura della pièce.
L’inanellarsi di situazioni surreali, di incomprensioni, di sincere bugie e svenimenti porta lo spettatore a sorridere delle disavventure del povero Boisjoli, la cui giornata è guastata dal futuro duello con Cotanson e quel maledetto guanto trovato nella sua giacca.
La regia vuole appunto mettere in mostra questi rapporti che, all’apparenza molto solidi, reggono su piedistalli alle volte fragili e facili all’incrinamento. Il divano diventa quindi un muro dietro cui si difendono i coniugi e dal quale scagliano gli strali l’uno verso l’altra. La poltrona sorreggerà l’avversario Cotanson quando colpito da svenimenti, proprio come un eroe del Metastasio.
In tutto questo trambusto dove anche la domestica si sente in diritto di ficcare il naso e ascoltare dietro le porte, una domanda sorge spontanea: ma questo guanto, di chi è?
IL POVERO PIERO
Una famiglia viene sconvolta dalla scomparsa del “Povero Piero” e dal conseguente ritrovamento delle sue ultime volontà. Il defunto, nel testamento, dà ordine che si dia notizia della sua morte solamente una volta avvenute le esequie. Teresa (la vedova), la sua amica e le persone che vivevano in casa con Piero dovranno lottare contro parecchi imprevisti per tener celata la cosa ma… .
È possibile ridere della tristezza altrui? Forse, quando le situazioni diventano così paradossali.
Quando viene raccontato dalla penna graffiante e ironica di uno scrittore come Achille Campanile, anche un lutto si può trasformare in una commedia di esilarante comicità.
Una delle più divertenti e geniali commedie del Novecento italiano, espressione a tutto tondo del teatro dell’assurdo che fa di Campanile, con Ionesco, il caposcuola del genere.
Alla morte del "povero Piero" i familiari cercano di rispettarne le ultime volontò: dare la notizia ad esequie avvenute. Ma non è facile nascondere l’accaduto e il salotto di casa diventa sempre più affollato di parenti ed amici che arrivano per unirsi al dolore della vedova. E così mentre il defunto viene sballottato, trafugato, nascosto negli armadi, iniziano i rituali, i gesti convenzionali e le piccole ipocrisie legati ad ogni morte: le frasi di cordoglio, le trattative con l’impresario delle pompe funebri, gli addobbi floreali, i necrologi, i messaggi degli amici.
Più della semplice ma geniale trama, contano gli episodi collaterali, i raccontini, le digressioni: una travolgente sequela di vicende surreali che, in un crescendo di equivoci e sorprese, vede alternarsi il riso e il pianto dei protagonisti fino al colpo di scena finale.
Scritto come romanzo nel 1959 e successivamente tradotto in forma scenica dallo stesso autore - che però non ha mai dato una forma definitiva alla commedia, lasciando anche innumerevoli varianti - Il povero Piero è un graffiante ritratto della società moderna, un’acuta osservazione dei vizi e delle piccole ipocrisie quotidiane in un carosello di personaggi ridicoli e spassosi, patetici e nevrotici, colti in un momento di alta ritualità.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 6 dicembre 2024
- 20:45
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 7 dicembre 2024
- 20:45
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 8 dicembre 2024
- 16:00
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
PERMETTE SIGNORINA
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 8 dicembre 2024
- 21:00
se bastasse una bella canzone
Performance in atto unico tra amore e melodie, rinunce e tradimenti, inganno e pentimenti
Serata in ricordo di ANNA BIANCHI
SENZATRUCCO ENSEMBLE
Roberta Vesentini
Stefano Boccafoglia
Marco Remondini
Ingresso gratuito con offerta libera a favore dell’AIRC
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 13 dicembre 2024
- 20:45
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 14 dicembre 2024
- 20:45
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 15 dicembre 2024
- 16:00
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 20 dicembre 2024
- 20:45
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 21 dicembre 2024
- 20:45
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 22 dicembre 2024
- 16:00
di Charles Dickens
traduzione e riduzione teatrale di Chiara Prezzavento
L’Autore
Charles Dickens nasce a Landport, Portsea, nel 1812 e muore a Gadshill Rochester nel 1870.
Sin dall’infanzia, povera e dolorosa, fu a contatto con la vita del popolo londinese, che gli diede un’esperienza feconda. Dopo aver lavorato in una fabbrica di lucido da scarpe, divenne stenografo parlamentare (1828). Nel 1833 uscirono sul Monthly Magazine i primi Sketches by Boz, che contengono già tutti gli elementi caratteristici della sua ispirazione. The posthumous papers of the Pickwich Club (1837) - Il Circolo Pickwich, pubblicato a dispense mensili, come poi la maggior parte delle sue opere, gli procurò fama e fortuna immediata; i personaggi incarnavano in modo spontaneo i lati più tipici e costanti del temperamento inglese, e la tecnica era quella cara all’autore: l’improvvisazione di episodi e scene intorno a un gruppo di personaggi. Divenuto il romanziere più popolare dell’Inghilterra, fece seguire: Oliver Twist (1838); Nicholas Nickleby (1839); The old curiosity shop (1841); Barnaby Rudge (1841); A Christmas carol (1843); The Chimes (1845); The cricket on the hearth (1846); Dombey and son (1848); David Copperfield (1850); Bleak House (1853); Hard times (1854); Little Dorrit (1857); A tale of two cities (1859); Great expectations (1861); Our mutual friend (1865). Si servì della sua popolarità per svolgere una polemica umanitaria e sociale, prendendo di mira molte istituzioni, di cui diede una rappre- sentazione quasi sempre caricaturale. La sua vena umoristica è genuina; ma nonostante l’ottimismo che fa dei suoi romanzi il monumento più tipico dell’età vittoriana, egli fu il primo romanziere che sentì la poesia di certi aspetti e ambienti torbidi e sinistri di una grande metropoli moderna.
Trama dello spettacolo e note di regia
“Se potessi fare a modo mio, ogni idiota che se ne va attorno con cotesto “allegro Natale” in bocca, avrebbe a esser bollito nella propria pentola e sotterrato con uno stecco di agrifoglio nel cuore. Sì, proprio!” (Prima strofa)
Basta questo per far nascere lo spettacolo: un ufficio spoglio e freddo con una finestra sulle strade di Londra che si prepara al Natale con canti e raccolta fondi per gli indigenti. Un avido e meschino personaggio che respinge ogni gesto di generosità o amore o amicizia anche in un giorno così speciale. Ma forse nel suo cuore si accende una scintilla alimentata dalle parole del vecchio socio morto con il cuore incatenato dall’avidità e da quelle dei Fantasmi del Passato, Presente e Futuro.
Le scene si susseguono veloci come pensieri o sogni, fino a farlo risvegliare una persona diversa e capace di rimediare agli errori fatti anche nel solo tempo che rimane.
Il Canto è un racconto fantastico ma che racchiude verità profonde: ripercorrere la propria vita, riflettere sugli errori commessi per avidità, egoismo, insensibilità, per poter diventare una persona migliore, con sé stessi e con gli altri.
“Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente” (ultima strofa)
Ho sentito la necessità di mettere in scena una favola di rinascita morale dell’individuo, in una società come la nostra dove stiamo seppellendo l’amore verso il prossimo e mostrando i peggiori lati della nostra umanità. ll Natale era una celebrazione religiosa piuttosto severa nell’Inghilterra del 1843, quando Charles Dickens, celebre scrittore in difficoltà finanziarie e creative, scrisse il romanzo breve A Christmas Carol.
La storia del vecchio avaro Scrooge e dei tre Spiriti in una Londra fuligginosa e affollata, capace delle miserie più meschine come della più calorosa generosità, era destinata a diventare l’opera più celebre di Dickens – ma anche a forgiare una nuova immagine delle celebrazioni natalizie, fatta di legami familiari, di condivisione, di agrifogli e frutta candita, di calore umano, di gentilezza e gioia.
Dickens ha creato un Natale del cuore dalla solennità misteriosa, felice e attraente al di là del suo significato strettamente religioso, un appello universale alla fraternità e agli affetti. È questo spirito che la regia vuole restituire sulla scena in Canto di Natale, adattato e tradotto appositamente da Chiara Prezzavento.
Ebenezer Scrooge, il mite scrivano Cratchit e una piccola folla di spiriti, cantori, bambini e pessimi soggetti popolano una vivace, magica parabola moderna capace di commuovere e divertire al tempo stesso – nella migliore tradizione dickensiana.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- lunedì 30 dicembre 2024
- 20:45
elaborazione, riduzione teatrale e regia di Maria Grazia Bettini, Chiara Prezzavento e Mario Zolin
Oh, il matrimonio! Croce e delizia, passione, bisticci, affetto e irritanti compromessi… Eppure, come farne a meno – soprattutto quando lo sposo e duecentoventisei invitati aspettano impazienti al piano di sotto, e la sposa si scopre riluttante? E allora la madre cerca di convincerla, con l’aiuto (talora dubbio) di un carosello di scene classiche e moderne in cui autori diversissimi ridono e sorridono sull’annosa questione: ma insomma, come funziona il matrimonio?
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- martedì 31 dicembre 2024
- 20:45
elaborazione, riduzione teatrale e regia di Maria Grazia Bettini, Chiara Prezzavento e Mario Zolin
Costo del biglietto:
- POLTRONA NUMERATA € 25,00
- SEDIA NUMERATA € 20,00
Oh, il matrimonio! Croce e delizia, passione, bisticci, affetto e irritanti compromessi… Eppure, come farne a meno – soprattutto quando lo sposo e duecentoventisei invitati aspettano impazienti al piano di sotto, e la sposa si scopre riluttante? E allora la madre cerca di convincerla, con l’aiuto (talora dubbio) di un carosello di scene classiche e moderne in cui autori diversissimi ridono e sorridono sull’annosa questione: ma insomma, come funziona il matrimonio?
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 11 gennaio 2025
- 20:45
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 12 gennaio 2025
- 16:00
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 17 gennaio 2025
- 20:45
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 18 gennaio 2025
- 20:45
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 19 gennaio 2025
- 16:00
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 24 gennaio 2025
- 20:45
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 25 gennaio 2025
- 20:45
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 26 gennaio 2025
- 16:00
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- lunedì 27 gennaio 2025
- 20:45
di Kate Moira Ryan
Regia di Maria Grazia Bettini
Il Tempo: 1942.
Il Luogo: la gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne di Parigi.
1942, le ultime donne americane rimaste a Parigi vengono rastrellate dalla Gestapo e rinchiuse nella gabbia delle scimmie del Jardin d’Acclimatation al Bois de Boulogne. Ancor prima delle scimmie, agli inizi del novecento, le gabbie servivano ad ospitare uno zoo umano: bantù, ottentotti, indiani…
E questa è una storia vera, così come sono reali i nomi di alcuni personaggi: Noel Haskins Murphy, Drue Leyton (ex stella di film americani di serie B), Sylvia Beach (proprietaria della Libreria Shakespeare & Co di Parigi, la prima a pubblicare l’Ulisse di Joyce), e Fern Bedaux (una donna introdotta nella migliore società, amica di Wally Simpson e moglie di un collaborazionista).
Ad esse si aggiungono due personaggi di fantasia: un giovane nazista che le donne chiamano Parsifal, tedesco ma cresciuto in America, con una forte vena di sadismo, e Marcelle, una giovane ebrea francese, ma americana per parte di padre, che viene gettata nella gabbia assieme a loro: quanto saranno disposte a rischiare per salvarla da morte certa? E fino a che punto riusciranno a spingersi per salvare se stesse?
L’Autrice
Kate Moira Ryan ha preso il suo diploma post-universitario in Drammaturgia alla Columbia University e ha iniziato la sua carriera al Young Playwright’s Festival. Insegna alla Einhorn School of the Arts/Primary Stages e tiene un corso di Master Class al New York Theatre Workshop. Da poco ha preso anche l’abilitazione per insegnare Teatro nei licei.
Nel 1985 ha vinto il Young Playwrights Festival. Da allora ha ricevuto numerosi riconoscimenti e borse di studio, da parte di varie organizzazioni, quali: la New York Foundation for the Arts, la Sumner Locke Elliott Exchange, la New Dramatists, la Sumner Locke Elliott Fellowship, la Australian National Playwrights Conference, e la Van Lier Fellowship per due anni da parte di The Women’s Project and Productions, Yaddo, MacDowell, Edward Albee e the Helene Wurlitzer Foundations, il Sundance Institute, il Trust for Mutual Understanding (Russia), Il Center for International Theatre (Russia).
Ha ricevuto anche la Brook Atkinson/Max Weitzenhoffer Fellowship del Royal National Theater di Londra. E’ stata finalista al Susan Blackburn Prize, ed ha vinto il Joseph A. Calloway Award.
La Regia
Dopo il successo di “Destinatario sconosciuto”, di K.K.Taylor, messo in scena in molti teatri e scuole dalla Campogalliani, ho scelto di presentare questo testo, mai rappresentato in Italia, per il giorno della Memoria, per raccontare una storia a latere dei campi di concentramento, ma sempre molto significativa della barbarie nazista.
E’ un’opera che mostra quanto cambino facilmente le persone a seconda del contesto in cui si trovano, soprattutto in un clima di violenza e paura, con un finale sorprendente.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 31 gennaio 2025
- 20:45
di Chiara Prezzavento
Regia di Maria Grazia Bettini
LA STORIA
James Crichton of Cluny arriva da Venezia a Mantova per il Carnevale del 1582 – e di certo non passa inosservato. Brillante, bellissimo, di memoria prodigiosa, perfetto cortigiano, questo Scozzese poco più che ventenne che sostiene di avere sangue reale nelle vene conquista rapidamente l’interesse del pur diffidente Duca Guglielmo Gonzaga, l’invidia di molti e l’ammirazione delle dame di corte – prima tra tutte la giovane Armida. Da avventuriero spiantato a consigliere ducale, la rapidissima carriera dell’Ammirabile Critonio ha tutta l’aria di un successo strepitoso – almeno fino al ritorno a Mantova di Vincenzo Gonzaga, l’erede del Ducato. In eterno scontro con il padre, e abituato ad essere il centro dell’attenzione a corte, Vincenzo prende subito in odio il coetaneo straniero che gli contende la stima del Duca, l’ammirazione generale e i favori di Armida… Mentre Guglielmo e Armida sembrano intenzionati ad aizzare la rivalità tra i due giovani, soltanto il Dottor Marcello Donati – medico, diplomatico, umanista e un tempo precettore di Vincenzo – tenta invano di evitare il disastro incombente, senza però accorgersi che, sotto l’apparenza del cortigiano perfetto, Crichton è una spia al servizio di Venezia. Il punto di rottura giunge durante un’assenza del Duca Guglielmo: l’ennesima vittoria dello Scozzese in una giostra e l’ovvia predilezione di Armida provocano la furia inconsulta di Vincenzo che, armato e mascherato, tende un’imboscata notturna al rivale. Crichton rimane ucciso nel duello, e lo scandalo minaccia di rivelarsi enorme… Ma Guglielmo non può permettere che il suo unico erede sia processato per assassinio e, con il riluttante aiuto di Donati, mette tutto a tacere – per il sollievo di tutta Mantova, ansiosa di dimenticare il prima possibile l’Ammirabile Critonio.
NOTE DI REGIA
Per questo spettacolo ho scelto di mettere in scena il testo teatrale che deriva dal romanzo intitolato LO SPECCHIO CONVESSO, romanzo con cui Chiara Prezzavento narra la fulgida parabola della breve vita del giovane nobile scozzese James Crichton presso la Corte del Duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. Poichè si tratta di una storia intrigante, ricca di particolari coinvolgimenti, che si svolgerà tra gli spettatori con balli e duelli, gli attori non saranno semplici riproduzioni dei personaggi del 1582, ma un misto di antico e moderno, sia nei costumi sia nel linguaggio. Lo spazio scenico non sarà un semplice palco tradizionale, ma l’intera sala dei Fiumi del Palazzo Ducale, che diventerà così il luogo deputato per raccontare la storia. Il pubblico parteciperà quindi in modo immersivo, vivendo in prima persona gli avvenimenti nell’epoca e con i protagonisti del misterioso Delitto.
Si ringrazia il fotografo Franco Lanfredi per la gentile concessione dell’immagine di sfondo utilizzata nella locandina e nel programma di sala.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 1 febbraio 2025
- 20:45
di Chiara Prezzavento
Regia di Maria Grazia Bettini
LA STORIA
James Crichton of Cluny arriva da Venezia a Mantova per il Carnevale del 1582 – e di certo non passa inosservato. Brillante, bellissimo, di memoria prodigiosa, perfetto cortigiano, questo Scozzese poco più che ventenne che sostiene di avere sangue reale nelle vene conquista rapidamente l’interesse del pur diffidente Duca Guglielmo Gonzaga, l’invidia di molti e l’ammirazione delle dame di corte – prima tra tutte la giovane Armida. Da avventuriero spiantato a consigliere ducale, la rapidissima carriera dell’Ammirabile Critonio ha tutta l’aria di un successo strepitoso – almeno fino al ritorno a Mantova di Vincenzo Gonzaga, l’erede del Ducato. In eterno scontro con il padre, e abituato ad essere il centro dell’attenzione a corte, Vincenzo prende subito in odio il coetaneo straniero che gli contende la stima del Duca, l’ammirazione generale e i favori di Armida… Mentre Guglielmo e Armida sembrano intenzionati ad aizzare la rivalità tra i due giovani, soltanto il Dottor Marcello Donati – medico, diplomatico, umanista e un tempo precettore di Vincenzo – tenta invano di evitare il disastro incombente, senza però accorgersi che, sotto l’apparenza del cortigiano perfetto, Crichton è una spia al servizio di Venezia. Il punto di rottura giunge durante un’assenza del Duca Guglielmo: l’ennesima vittoria dello Scozzese in una giostra e l’ovvia predilezione di Armida provocano la furia inconsulta di Vincenzo che, armato e mascherato, tende un’imboscata notturna al rivale. Crichton rimane ucciso nel duello, e lo scandalo minaccia di rivelarsi enorme… Ma Guglielmo non può permettere che il suo unico erede sia processato per assassinio e, con il riluttante aiuto di Donati, mette tutto a tacere – per il sollievo di tutta Mantova, ansiosa di dimenticare il prima possibile l’Ammirabile Critonio.
NOTE DI REGIA
Per questo spettacolo ho scelto di mettere in scena il testo teatrale che deriva dal romanzo intitolato LO SPECCHIO CONVESSO, romanzo con cui Chiara Prezzavento narra la fulgida parabola della breve vita del giovane nobile scozzese James Crichton presso la Corte del Duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. Poichè si tratta di una storia intrigante, ricca di particolari coinvolgimenti, che si svolgerà tra gli spettatori con balli e duelli, gli attori non saranno semplici riproduzioni dei personaggi del 1582, ma un misto di antico e moderno, sia nei costumi sia nel linguaggio. Lo spazio scenico non sarà un semplice palco tradizionale, ma l’intera sala dei Fiumi del Palazzo Ducale, che diventerà così il luogo deputato per raccontare la storia. Il pubblico parteciperà quindi in modo immersivo, vivendo in prima persona gli avvenimenti nell’epoca e con i protagonisti del misterioso Delitto.
Si ringrazia il fotografo Franco Lanfredi per la gentile concessione dell’immagine di sfondo utilizzata nella locandina e nel programma di sala.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 2 febbraio 2025
- 16:00
di Chiara Prezzavento
Regia di Maria Grazia Bettini
LA STORIA
James Crichton of Cluny arriva da Venezia a Mantova per il Carnevale del 1582 – e di certo non passa inosservato. Brillante, bellissimo, di memoria prodigiosa, perfetto cortigiano, questo Scozzese poco più che ventenne che sostiene di avere sangue reale nelle vene conquista rapidamente l’interesse del pur diffidente Duca Guglielmo Gonzaga, l’invidia di molti e l’ammirazione delle dame di corte – prima tra tutte la giovane Armida. Da avventuriero spiantato a consigliere ducale, la rapidissima carriera dell’Ammirabile Critonio ha tutta l’aria di un successo strepitoso – almeno fino al ritorno a Mantova di Vincenzo Gonzaga, l’erede del Ducato. In eterno scontro con il padre, e abituato ad essere il centro dell’attenzione a corte, Vincenzo prende subito in odio il coetaneo straniero che gli contende la stima del Duca, l’ammirazione generale e i favori di Armida… Mentre Guglielmo e Armida sembrano intenzionati ad aizzare la rivalità tra i due giovani, soltanto il Dottor Marcello Donati – medico, diplomatico, umanista e un tempo precettore di Vincenzo – tenta invano di evitare il disastro incombente, senza però accorgersi che, sotto l’apparenza del cortigiano perfetto, Crichton è una spia al servizio di Venezia. Il punto di rottura giunge durante un’assenza del Duca Guglielmo: l’ennesima vittoria dello Scozzese in una giostra e l’ovvia predilezione di Armida provocano la furia inconsulta di Vincenzo che, armato e mascherato, tende un’imboscata notturna al rivale. Crichton rimane ucciso nel duello, e lo scandalo minaccia di rivelarsi enorme… Ma Guglielmo non può permettere che il suo unico erede sia processato per assassinio e, con il riluttante aiuto di Donati, mette tutto a tacere – per il sollievo di tutta Mantova, ansiosa di dimenticare il prima possibile l’Ammirabile Critonio.
NOTE DI REGIA
Per questo spettacolo ho scelto di mettere in scena il testo teatrale che deriva dal romanzo intitolato LO SPECCHIO CONVESSO, romanzo con cui Chiara Prezzavento narra la fulgida parabola della breve vita del giovane nobile scozzese James Crichton presso la Corte del Duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. Poichè si tratta di una storia intrigante, ricca di particolari coinvolgimenti, che si svolgerà tra gli spettatori con balli e duelli, gli attori non saranno semplici riproduzioni dei personaggi del 1582, ma un misto di antico e moderno, sia nei costumi sia nel linguaggio. Lo spazio scenico non sarà un semplice palco tradizionale, ma l’intera sala dei Fiumi del Palazzo Ducale, che diventerà così il luogo deputato per raccontare la storia. Il pubblico parteciperà quindi in modo immersivo, vivendo in prima persona gli avvenimenti nell’epoca e con i protagonisti del misterioso Delitto.
Si ringrazia il fotografo Franco Lanfredi per la gentile concessione dell’immagine di sfondo utilizzata nella locandina e nel programma di sala.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 7 febbraio 2025
- 20:45
di Chiara Prezzavento
Regia di Maria Grazia Bettini
LA STORIA
James Crichton of Cluny arriva da Venezia a Mantova per il Carnevale del 1582 – e di certo non passa inosservato. Brillante, bellissimo, di memoria prodigiosa, perfetto cortigiano, questo Scozzese poco più che ventenne che sostiene di avere sangue reale nelle vene conquista rapidamente l’interesse del pur diffidente Duca Guglielmo Gonzaga, l’invidia di molti e l’ammirazione delle dame di corte – prima tra tutte la giovane Armida. Da avventuriero spiantato a consigliere ducale, la rapidissima carriera dell’Ammirabile Critonio ha tutta l’aria di un successo strepitoso – almeno fino al ritorno a Mantova di Vincenzo Gonzaga, l’erede del Ducato. In eterno scontro con il padre, e abituato ad essere il centro dell’attenzione a corte, Vincenzo prende subito in odio il coetaneo straniero che gli contende la stima del Duca, l’ammirazione generale e i favori di Armida… Mentre Guglielmo e Armida sembrano intenzionati ad aizzare la rivalità tra i due giovani, soltanto il Dottor Marcello Donati – medico, diplomatico, umanista e un tempo precettore di Vincenzo – tenta invano di evitare il disastro incombente, senza però accorgersi che, sotto l’apparenza del cortigiano perfetto, Crichton è una spia al servizio di Venezia. Il punto di rottura giunge durante un’assenza del Duca Guglielmo: l’ennesima vittoria dello Scozzese in una giostra e l’ovvia predilezione di Armida provocano la furia inconsulta di Vincenzo che, armato e mascherato, tende un’imboscata notturna al rivale. Crichton rimane ucciso nel duello, e lo scandalo minaccia di rivelarsi enorme… Ma Guglielmo non può permettere che il suo unico erede sia processato per assassinio e, con il riluttante aiuto di Donati, mette tutto a tacere – per il sollievo di tutta Mantova, ansiosa di dimenticare il prima possibile l’Ammirabile Critonio.
NOTE DI REGIA
Per questo spettacolo ho scelto di mettere in scena il testo teatrale che deriva dal romanzo intitolato LO SPECCHIO CONVESSO, romanzo con cui Chiara Prezzavento narra la fulgida parabola della breve vita del giovane nobile scozzese James Crichton presso la Corte del Duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. Poichè si tratta di una storia intrigante, ricca di particolari coinvolgimenti, che si svolgerà tra gli spettatori con balli e duelli, gli attori non saranno semplici riproduzioni dei personaggi del 1582, ma un misto di antico e moderno, sia nei costumi sia nel linguaggio. Lo spazio scenico non sarà un semplice palco tradizionale, ma l’intera sala dei Fiumi del Palazzo Ducale, che diventerà così il luogo deputato per raccontare la storia. Il pubblico parteciperà quindi in modo immersivo, vivendo in prima persona gli avvenimenti nell’epoca e con i protagonisti del misterioso Delitto.
Si ringrazia il fotografo Franco Lanfredi per la gentile concessione dell’immagine di sfondo utilizzata nella locandina e nel programma di sala.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 8 febbraio 2025
- 20:45
di Chiara Prezzavento
Regia di Maria Grazia Bettini
LA STORIA
James Crichton of Cluny arriva da Venezia a Mantova per il Carnevale del 1582 – e di certo non passa inosservato. Brillante, bellissimo, di memoria prodigiosa, perfetto cortigiano, questo Scozzese poco più che ventenne che sostiene di avere sangue reale nelle vene conquista rapidamente l’interesse del pur diffidente Duca Guglielmo Gonzaga, l’invidia di molti e l’ammirazione delle dame di corte – prima tra tutte la giovane Armida. Da avventuriero spiantato a consigliere ducale, la rapidissima carriera dell’Ammirabile Critonio ha tutta l’aria di un successo strepitoso – almeno fino al ritorno a Mantova di Vincenzo Gonzaga, l’erede del Ducato. In eterno scontro con il padre, e abituato ad essere il centro dell’attenzione a corte, Vincenzo prende subito in odio il coetaneo straniero che gli contende la stima del Duca, l’ammirazione generale e i favori di Armida… Mentre Guglielmo e Armida sembrano intenzionati ad aizzare la rivalità tra i due giovani, soltanto il Dottor Marcello Donati – medico, diplomatico, umanista e un tempo precettore di Vincenzo – tenta invano di evitare il disastro incombente, senza però accorgersi che, sotto l’apparenza del cortigiano perfetto, Crichton è una spia al servizio di Venezia. Il punto di rottura giunge durante un’assenza del Duca Guglielmo: l’ennesima vittoria dello Scozzese in una giostra e l’ovvia predilezione di Armida provocano la furia inconsulta di Vincenzo che, armato e mascherato, tende un’imboscata notturna al rivale. Crichton rimane ucciso nel duello, e lo scandalo minaccia di rivelarsi enorme… Ma Guglielmo non può permettere che il suo unico erede sia processato per assassinio e, con il riluttante aiuto di Donati, mette tutto a tacere – per il sollievo di tutta Mantova, ansiosa di dimenticare il prima possibile l’Ammirabile Critonio.
NOTE DI REGIA
Per questo spettacolo ho scelto di mettere in scena il testo teatrale che deriva dal romanzo intitolato LO SPECCHIO CONVESSO, romanzo con cui Chiara Prezzavento narra la fulgida parabola della breve vita del giovane nobile scozzese James Crichton presso la Corte del Duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. Poichè si tratta di una storia intrigante, ricca di particolari coinvolgimenti, che si svolgerà tra gli spettatori con balli e duelli, gli attori non saranno semplici riproduzioni dei personaggi del 1582, ma un misto di antico e moderno, sia nei costumi sia nel linguaggio. Lo spazio scenico non sarà un semplice palco tradizionale, ma l’intera sala dei Fiumi del Palazzo Ducale, che diventerà così il luogo deputato per raccontare la storia. Il pubblico parteciperà quindi in modo immersivo, vivendo in prima persona gli avvenimenti nell’epoca e con i protagonisti del misterioso Delitto.
Si ringrazia il fotografo Franco Lanfredi per la gentile concessione dell’immagine di sfondo utilizzata nella locandina e nel programma di sala.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 9 febbraio 2025
- 16:00
di Chiara Prezzavento
Regia di Maria Grazia Bettini
LA STORIA
James Crichton of Cluny arriva da Venezia a Mantova per il Carnevale del 1582 – e di certo non passa inosservato. Brillante, bellissimo, di memoria prodigiosa, perfetto cortigiano, questo Scozzese poco più che ventenne che sostiene di avere sangue reale nelle vene conquista rapidamente l’interesse del pur diffidente Duca Guglielmo Gonzaga, l’invidia di molti e l’ammirazione delle dame di corte – prima tra tutte la giovane Armida. Da avventuriero spiantato a consigliere ducale, la rapidissima carriera dell’Ammirabile Critonio ha tutta l’aria di un successo strepitoso – almeno fino al ritorno a Mantova di Vincenzo Gonzaga, l’erede del Ducato. In eterno scontro con il padre, e abituato ad essere il centro dell’attenzione a corte, Vincenzo prende subito in odio il coetaneo straniero che gli contende la stima del Duca, l’ammirazione generale e i favori di Armida… Mentre Guglielmo e Armida sembrano intenzionati ad aizzare la rivalità tra i due giovani, soltanto il Dottor Marcello Donati – medico, diplomatico, umanista e un tempo precettore di Vincenzo – tenta invano di evitare il disastro incombente, senza però accorgersi che, sotto l’apparenza del cortigiano perfetto, Crichton è una spia al servizio di Venezia. Il punto di rottura giunge durante un’assenza del Duca Guglielmo: l’ennesima vittoria dello Scozzese in una giostra e l’ovvia predilezione di Armida provocano la furia inconsulta di Vincenzo che, armato e mascherato, tende un’imboscata notturna al rivale. Crichton rimane ucciso nel duello, e lo scandalo minaccia di rivelarsi enorme… Ma Guglielmo non può permettere che il suo unico erede sia processato per assassinio e, con il riluttante aiuto di Donati, mette tutto a tacere – per il sollievo di tutta Mantova, ansiosa di dimenticare il prima possibile l’Ammirabile Critonio.
NOTE DI REGIA
Per questo spettacolo ho scelto di mettere in scena il testo teatrale che deriva dal romanzo intitolato LO SPECCHIO CONVESSO, romanzo con cui Chiara Prezzavento narra la fulgida parabola della breve vita del giovane nobile scozzese James Crichton presso la Corte del Duca di Mantova Guglielmo Gonzaga. Poichè si tratta di una storia intrigante, ricca di particolari coinvolgimenti, che si svolgerà tra gli spettatori con balli e duelli, gli attori non saranno semplici riproduzioni dei personaggi del 1582, ma un misto di antico e moderno, sia nei costumi sia nel linguaggio. Lo spazio scenico non sarà un semplice palco tradizionale, ma l’intera sala dei Fiumi del Palazzo Ducale, che diventerà così il luogo deputato per raccontare la storia. Il pubblico parteciperà quindi in modo immersivo, vivendo in prima persona gli avvenimenti nell’epoca e con i protagonisti del misterioso Delitto.
Si ringrazia il fotografo Franco Lanfredi per la gentile concessione dell’immagine di sfondo utilizzata nella locandina e nel programma di sala.
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
Pene d’Amor… Accademiche
Nello scrivere il nuovo, severo statuto del Navarre College, il preside King e lo zelante dottorando Dumain hanno trascurato un particolare: come fa notare lo scapestrato professor Biron, è difficile tenere a distanza le distrazioni femminili quando la delegazione francese in arrivo per un convegno è composta per lo più da signore… Per parte sua l’agguerrita vicepreside francese Mme Valois è decisa a non tollerare le bizzarrie inglesi che la obbligano ad alloggiare nel parco con assistente e dottorande al seguito. A complicare la situazione si aggiungono una pittoresca compagine spagnola, lo svagato custode Costard e ben presto… Cupido! Mentre le rivalità accademiche s’intrecciano alle trame amorose, tra malintesi, travestimenti e dispetti, chi la spunterà nel gioco senza tempo tra ragione, sentimento e potere?
Note di Regia
Originariamente scritto per un pubblico di giuristi, con la sua enfasi comica sullo studio, con le sue parodie poetiche e l’eloquenza spumeggiante, il testo si presta bene a una reinterpretazione in chiave moderna e accademica. La divertita esplorazione dei molteplici usi del linguaggio (strumento di potere, conoscenza, seduzione, inganno, distinzione sociale, comprensione e incomprensione…) si sposta agli anni Sessanta del Novecento, in un immaginario college inglese, utilizzando l’elemento di parodia accademica per sottolineare l’universalità di Shakespeare. A quattro secoli e mezzo di distanza, questa commedia ci consente di giocare con le aspettative sui ruoli maschili e femminili – e sovvertirle in pieno!
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- giovedì 6 marzo 2025
- 21:00
di Carol Ann Duffy
Regia di Maria Grazia Bettini
Ingresso libero
La moglie del mondo (The World’s Wife) è una raccolta di poesie le cui protagoniste sono donne, vere o immaginarie, in cerca di un loro ruolo nella storia e nel mito. Sono le mogli di uomini famosi, come la signora Pilato, la signora Esopo, la signora Freud e altre ancora; oppure sono donne tradizionalmente definite tramite i loro uomini, come Dalila o Euridice. Sono le mogli del mondo secondo l’efficace titolo.
Tutte le poesie si configurano come autoritratti. Il monologo, da sempre una delle forme poetiche preferite da Carol Ann Duffy, in questa raccolta le permette di dare una voce distintiva e forte a ciascuna di queste mogli che si collegano a costruire un’affascinante rivisitazione, una versione dei fatti dalla parte di lei.
Le narratrici non si limitano infatti ad aggiungere particolari mancanti o verità nascoste alle storie già note, ma ciascuna di loro ha spesso una storia del tutto inedita da raccontare.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 15 marzo 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 16 marzo 2025
- 16:00
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 21 marzo 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 22 marzo 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 23 marzo 2025
- 16:00
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 28 marzo 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 29 marzo 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 30 marzo 2025
- 16:00
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 4 aprile 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 5 aprile 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 6 aprile 2025
- 16:00
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- venerdì 11 aprile 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- sabato 12 aprile 2025
- 20:45
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.
- Teatrino di Palazzo d’Arco
- domenica 13 aprile 2025
- 16:00
di Jack Trevor Story
Regia di Mario Zolin
La congiura degli innocenti è tratta dal romanzo omonimo di Jack Trevor Story del 1950.
Gli strambi abitanti del piccolo borgo di Highwater, nel Vermont, devono fare i conti con il fresco ritrovamento del cadavere di Harry Worp, che è apparso nella collina che sovrasta il paese. Cosa farne del corpo, e cercare di architettare come e perché Harry è stato ucciso costituisce la "congiura degli innocenti".
Raramente la morte era stata rappresentata con tanta freddezza: è lo spunto per imbastire una black comedy dal puro spirito inglese.