Dalla luce al buio, fuori del tempo
3 Marzo 2017
«Ti ho liberata dal tempo» sorride l’uomo dall’abito candido. «Si, mi sento libera» risponde la donna. Resta lei sola, vuota come una buccia di banana, dopo che si sono progressivamente dissolti i ricordi, i sentimenti, ma anche i rimorsi e le paure. Il rassicurante salvatore biancovestito personifica il delirio di una mente affetta da demenza, che l’Accademia Campogalliani tratta con delicatezza, nell’oggettiva spaventosità. I primi segnali sono impercettibili poi attaccano anche il nucleo famigliare, che fatica ad accettare, a rapportarsi allo spietato progredire della malattia, dagli esiti identici sia che la si combatta o che ci si arrenda. La scena presenta sagome spigolose, disposte in una fuga prospettica dalla luce verso il buio, fino alle “Assenze" che l’autore Peter M. Floyd narra tramite ciò che percepisce l’inferma. Protagonista di razza è Francesca Campogalliani, magistralmente drammatica nel cingere Helen di commovente veridicità, di lacerante umanità. Accanto a lei Mario Zolin, marito affettuoso presto capitolato; la figlia, Eleonora Ghisi d’intensa espressività negli eloqui farciti di parole assurde, come le fa percepire la malattia; la nipote, Margherita Governi, dalla recitazione tanto fresca quanto convincente; Gabriella Pezzoli, dottoressa pragmatica; Stefano Bonisoli a dar corpo, leggerezza e gioiosità alle allucinazioni; infine la tenera voce fuori campo di Cecilia Cantarelli. Un bravo allo stesso Zolin alla regia che, nel lieto giro di danza tra la donna e il suo immaginario, in quel breve surreale non-sense, racchiude il significato dell’intero spettacolo.