La Campogalliani ricorda Signoretti e Palmierini
“Tre sull’altalena”: nella pièce ciascun personaggio condannato a restare prigioniero del suo ruolo
Nel pieghevole di sala che accompagna lo spettacolo dei “Tre sull’altalena” di Luigi Lunari, sono richiamate, per la tipologia dei personaggi, varie ascendenze culturali, soprattutto le maschere della Commedia dell’arte. Va anche ricordato che il modello utilizzato per il meccanismo di scena è quello di “Mouchoir de nuages” di Tristan Tzara, che le avanguardie postdadaiste e surrealiste dovevano più volte replicare come allegoria sociale e religiosa. Cioè la concezione del palcoscenico come una scatola, in cui gli attori restano intrappolati, e una volta impossibilitati a compiere azioni, sono costretti a definirsi, a condividere le paure della morte, a propiziarsi le divinità. La rottura del genere teatro, la beffa e la dissacrazione si sono perdute nel tempo. Di quelle esperienze rimane il gioco scenico che permette di ripercorrere luoghi comuni sempre presenti, e di suscitare un piacevole divertissement con originalità. Nel riproporre la celebre pièce di Lunari, con cui la Campogalliani raccolse elogi e premi nei decenni scorsi, Maria Grazia Bettini (direttrice artistica della Compagnia) intende ricordare anche le care figure di Aldo Signoretti, e Silvano Palmierini, che furono due colonne del Teatrino d’Arco, e già regista/scenografo e interprete della messa in scena del 1993. Che resta inalterata, nel suo disegno di fondo anche oggi, con l’innesto di Giancarlo Braglia nel ruolo del Capitano, mentre Adolfo Vaini, Diego Fusari, e Francesca Campogalliani riprendono i loro personaggi. Nella “trappola per topi”, nel monolocale al settimo piano, giungono per tre portoni, scale e usci differenti, l’industriale, il militare, il filosofo giallista. Ciascuno crede di trovarsi nel luogo prefissato, ma presto deve convincersi del mistero “uno e trino” dello spazio, che oltretutto vieta l’uso di una porta diversa da quella da cui si è entrati, soddisfa alcune richieste di bevande, fornisce un elenco telefonico di Singapore con i loro nomi. Come non bastasse l’enigma del luogo, l’autorità esterna proibisce di uscire dalle 17 e fa chiudere qualsiasi circuito elettrico per l’intera nottata. Di qui la convivenza forzata, e le inevitabili chiacchiere e i tic di ceto, con cui ciascun attore contribuisce al divertimento della serata. Braglia con la linearità del militare che formato dal codice, non obietta mai e aderisce con proposizioni elementari. Viceversa il professore di Fusari, volendo razionalizzare ogni sorpresa miracolistica, sciorina il manuale di filosofia con nevrotica esigenza. L’industriale di Vaini cede alla superstizione, presumendo d’essere nell’anticamera dell’aldilà. Le angosce di tutti crescono all’apparizione della donna delle pulizie, la Campogalliani con bigodini, sigaretta e ciabatte, che loro scambiano per la Madonna. Morale, ciascuno è condannato a restare prigioniero del suo ruolo, e del “parlare a vanvera”. Molta ilarità, con i bravi attori, nel nome di Aldo Signoretti.
Alberto Cattini