L’incidente, farsa che fa ridere
Vaini perfetto nei tempi comici
“L’incidente”, cui allude la commedia che Luigi Lunari scrisse nel 1966, fotografa le reazioni di alcuni notabili e signore milanesi allo spettacolo di una donna appariscente nel momento in cui, all’inaugurazione di una banca, presenti il vescovo e un parlamentare, oltre al plotone dei ragionieri, le scivolano sul pavimento le mutandine che indossava. Nel 1908, anno in cui va in scena a Berlino "Le mutande" di Carl Sternheim, l’indumento in questione era avvolto da un alone peccaminoso, in grado di accendere la fantasia inibita della piccola media borghesia tedesca. Tanto che il drammaturgo ne faceva la "ficelle" principale. Ovvero l’emblema di una società frustrata, che si avviava alla Grande guerra, con spirito conquistatore e antisemita. Ronconi che ha allestito "Le mutande" con un cast di strepitosi attori (Fantoni, Fortunato, Herlitzka), immaginava un Paese prenazista, e lo concepiva come un corollario delle sue regie elisabettiane dei "Lunatici" e di "Riccardo III". La pièce degli anni ’60 di Lunari, messa in scena dalla Campogalliani al Teatrino D’Arco, non presagisce sommovimenti contestatari. Piuttosto la "contaminatio" che promuove, si volge indietro agli anni ’50, recuperando il gusto da fumetto della trasgressione, con figure umane di cui ridere senza identificarsi più di tanto. E allora non vi è nessun giovane prestante a desiderare la donna del ragioniere, ma solo un soldatino che ha compiuto nove mesi di naia e un vecchio onorevole in trasferta. Semmai le mutandine innescano pettegolezzi invidiosi nelle signore fuori età, e il desiderio sempre procrastinato di vivere un’orgia domestica con le mercenarie del sesso nei mariti, altrettanto imbustati e passibili di colpi della strega. Grazia Bettini che ha una spiccata propensione per il comico grottesco si è gettata su "L’incidente" con slancio e intelligenza suscitando una farsa che fa ridere, e disegnando un impagabile refuso dell’Italietta di mezzo secolo fa. Al centro della pièce, la tipica coppia messa in caricatura nelle vignette di Novello. O presente in quelle situazioni e gag che troviamo sparse nei film di Totò, popolati da attori piccoli, gli Umberto Melnati, gli Aroldo Tieri, al fianco di giunoniche attrici quali Silvana Pampanini e Franca Marzi. Di qui il ragioniere con il baffetto Diego Fusari, frenetico e logorroico implacabile, ossessionato dall’idea d’essere stato professionalmente danneggiato dall’incidente accaduto alla monumentale consorte, Isabella Bertolini, e pronto a qualsiasi bassezza pur di riguadagnare dei punti. La consorte, che a tutto consente con una sospettabile passività, rivela una sua furbizia e il completo controllo dei due citati spasimanti. Il dialogo con l’onorevole Giancarlo Braglia costituisce il momento clou del secondo atto. Causa interna dello sconquasso sono le mutande, causa esterna il direttore di banca, Adolfo Vaini che riesce perfetto nei tempi comici, ammiccamenti, e arroganza del potere. È lui, il direttore, che dal ragioniere pretende l’orgia, e dato singolare, il mezzo trascinante non sono le porte che si aprono e chiudono, come il teatro di Feydau ci ha abituati, ma l’ilarità scatta con la scoperta delle due prostitute, la romana e l’emiliana, Claudia Moietta e l’esilarante Martina Ginelli. Cioè assistendo alle reazioni della moglie Bertolini, e al quadro che ci restituisce la modernità. Sono i momenti che da soli valgono lo spettacolo.
Alberto Cattini