IL RACCONTO DI DICKENS PROPOSTO DALLA CAMPOGALLIANI CON LA REGIA DI GRAZIA BETTINI E INTERPRETAZIONI VALIDE DI VAINI, SARTORELLO E ZERBETTO
Grazia Bettini, nota per la spiccata propensione al gotico, non poteva mancare l’appuntamento con Charles Dickens che con le ghost stories talora si cimentava, pervadendo di uno spirito compiaciutamente macabro anche romanzi di travolgente umorismo come il “Pickwick Club”. Canto di Natale, novella scritta nel 1843, nasce dal titolo ricordato, sei sette anni dopo la sua pubblicazione. Apparentemente sono agli antipodi Mr. Pickwick, che stando seduto dentro una carriola lancia paciosi motti ai cacciatori che sparano a casaccio, mentre Ebenezer Scrooge, banchiere avido e avaro, dal suo gelido ufficio lancia strali gracchianti contro chi osa porgli auguri natalizi. Entrambi raccontano storie di fantasmi o ne sono visitati.
Nel caso di Scrooge, la vigilia di Natale gli si presenta il socio morto sette anni prima, con tanto di catene che sferragliano in strada e in casa. Dickens gioca ogniqualvolta con le aggettivazioni di situazione, rivelando una singolare ambiguità, secondo l’adagio “non ci credo ma”. Nella circostanza deve smentire l’acido vecchio che non volendo prestare fede al defunto, cerca di attribuire l’apparizione a un boccone rancido della cena. Di qui la necessità di portare a supporto del soprannaturale, spiritelli fatati, figure del Natale, di passato presente e futuro.
Adolfo Vaini interpreta Scrooge con sicura misura di posture da vecchio anchilosato, di smorfie scettiche, di toni eufemizzanti. Ma ogni difesa deve essere smantellata, e liberato dal bozzolo che lo opprime risvegliare il ragazzo, di prima che si alienasse nel denaro. Per Bettini sono come fate le ausiliarie della rinascita: la fata del passato, in una ampia veste bianco e la soave gentilezza di Loredana Sartorello, gli rammenta il fatale silenzio d’amore giovanile per cui si raggelò; la fata del presente, in una tuta verde, e la leggerezza danzata di Serena Zerbetto, gli rivela la crudeltà mentale nei confronti della povera famiglia dell’impiegato, per cui scopre adesso il rimorso; ancora la Sartorello sotto un mantello nero da strega gli mostra il funerale senza un amico, per cui il proposito di rimediare agli errori. Vaini e le due signore sono il clou, l’eccellenza dello spettacolo condotto da Bettini con “soprannaturale” scioltezza, e colorita persuasione, sotto gli occhi straniti e sgomenti del banchiere. Non mancano i quadretti sociali, aspro quello della lavandaia di Francesca Campogalliani che si ritaglia un memorabile cammeo di cinismo sottoproletario, oppure il pre-chapliniano compassionevole della famigliola di Luca Genovesi, o ancora il piccolo borghese buonista del nipote di Diego Fusari e della moglie Alessandra Mattioli.
Il pubblico ha festeggiato con particolare calore i diciannove attori sul palco, le scene adeguate di Fusari e Pizzoli e le luci di Codognola, la colonna sonora di Martinelli, e l’estrosità della regia. —
A. C.