L’adattamento del romanzo di Daphne Du Maurier "Rebecca, la prima moglie" nasce, di là degli interessi e delle propensioni al genere di Grazia Bettini, come una necessità culturale, a completamento del progetto de "Gli occhiali d’oro" di Giorgio Bassani. I due testi, ambedue allestiti dalla Capogalliani, costituiscono un dittico melodrammatico, con uno sfondo storico che li stringe indelebilmente. Entrambe le vicende sono ambientate nel 1938. In Italia, le leggi razziali spalancano le porte infernali della Shoah. In Inghilterra, le simpatie per il nazismo di parte della fradicia nobiltà inglese innescano la nemesi delle fiamme per niente purificatrici della guerra. Sulla traccia segnata dal plot della scrittrice londinese sono state apportate alcune modifiche strutturali. Rebecca, in nome della quale la governante Danvers scatena le erinni finali, è il perno dell’intera pièce. Spirito ubiquo, che viene ricordato e percepito per la seducente corporeità, viene fatto agire intorno e dentro ogni personaggio abbia frequentato la tenuta di Manderley, e continui a essere in ascolto delle parole che sussurra, ad afferrane il tremendo perturbante. Rebecca agisce come i fantasmi degli amanti nei confronti dei piccoli allievi nel capolavoro di Henry James, "Giro di vite". La prima moglie è una dominatrice che distrugge affascinando, e nella cerchia degli esseri sedotti e manipolati ben presto richiama anche la seconda moglie, senza nome per il suo aspetto acqua e sapone e per l’insignificanza di ceto. E ne fa lo inconsapevole strumento terminale di un piano diabolico, volto al definitivo annientamento della dinasta de Winter, alla paralisi di Maxim e all’incenerimento del Palazzo. Rebecca è la volontà nichilista dei tempi, e a lei spetta l’ultima parola: «Sogni d’oro, brava gente». Due sono le scene nevralgiche di questa versione del romanzo, ciascuna per atto. Pensiamo alla visita, nel boudoir di Rebecca, della seconda moglie, Rossella Avanzi. Nel frangente, la governante scatena l’erotismo lesbico macabro della sua signora, Isabella Bertolini, presente in scena come suggeritrice e regista. Ed è il momento di Francesca Campogalliani, strega insinuante e melliflua, nelle cui rete resta impigliata l’ingenua neosposa. E alla rivelazione che l’esasperato Maxim, Diego Fusari, fornisce del delitto compiuto. Lo rivive in un confronto provocatorio e irridente con Rebecca, che fornisce alla seconda moglie l’occasione per eleggersi sua complice, e amante. Come sempre fastosi i costumi di Campogalliani e Fusari, puntuali i commenti musicali di Martinelli. All’infaticabile e sensibile Grazia Bettini, regista e direttrice artistica dell’Accademia, gli auguri di nuovi successi. (a.c.)