MANTOVA - Tempo-Libero
“ANCHE LE DONNE HANNO PERSO LA GUERRA”
Campogalliani, testo interessante e la regia è attenta e illuminante
La Campogalliani, con Mario Zolin alla regia,ha tolto dall’oblio un interessante testo di Curzio Malaparte, rappresentato per la prima volta a Venezia nel 1954, e per l’occasione l’onorava un caste d’eccezione: Lilla Brignone, Salvo Randone e Lina Volonghi.
A scartabellare le cronache, non si ha più notizia del dreamma, ambientato a Vienna, alla dine della guerra, nel ’45, quando le truppe d’occupazione assoldavano le donne per il loro piacere. Pratica, viene detto, che accomunava tutti gli eserciti, non di meno quello tedesco allorché l’andamento della guerra si svolgeva a suo favore.
Un commissario sovietico si presenta in casa Graber, per censire le donne possibili alla bisogna. La vedova, Emma (Loredana Sartorello), madre di due ragazze di venti e diciassette anni, cerca di confondere l’inviato, portando la sua attenzione sulla nuova, pur essa vedova, Enrica (Elena Montanari).
La donna, che rincasa in quel momento, ha già fatto mente locale e pare rassegnata al suo destino. L’incipit definisce il primo nucleo strutturale del draamma: il degrado di una famiglia abbiente (il marito era consigliere di Stato), madre scapigliata, china sulle carte, ossessionata dalle sigarette; figlia maggiore sgarbatamente odiosa, figlia minore infantilmente ingenua. E se il decoro è scomparso, anche l’egoismo di gruppo ha preso il sopravvento.
Sartorello, che ha una statur attoriale da professionista, sa ben creare il delirio piccolo borghese della donna che si aggrappa a quel poco di benessere che il prostituirsi della nuova le concede, e pure le rinfaccia un’impossibile copertura di rispettabilità. L’immoralità di stato, che serpeggia anche tra le figlie, la portinaia (C. Benazzi) e un’altra inquilina (D. Modena) si scatena nel secondo atto, e richiama i momenti meno effimeri del neorealismo del tempo. A questo nucleo di gruppo di donne in interni, disperante e senza tramonto, se ne accosta, a sorpresa, un secondo ripreso dalla temperie esistenziali degli anni ’50.
Enrica, la nuova, conduce la sua routine di donna dei soldati russi, allorché riceve la visita di Andrei, un giovane insegnante di musica, che si siede al pianoforte, e attacca frasi di Schubert, Shostakovic, di Khachaturian (selezione di Nicola Martinelli).
Il ragazzo (Davide Cantarelli) sembra colloquiare con la dolcezza dell’età, e la consapevolezza di chi ha patito molte esperienze di dolore.
Enrica, sorpresa, replica con disincanto, e i toni alti cui ricorre provocano pari risposte. Malaparte conosce i passi noti di Camus e Sartre, la condanna ad essere liberi, di vivere la propria umanità al di là degli incidenti di percorso, e pure la durezza del muro, o del mero nulla.
Entrambi, Montanari e Cantarelli, adottano un tono di voce sommesso, accorato, che accetta il corso degli eventi senza assumerli con determinazione. Contro gli eserciti maschili del mondo, il fascino o l’orrore che suscitano, l’esito è quello del titolo: “Anche le donne hanno perso la guerra”. Un testo, che pur datato, soddisfa la nostra curiosità, grazie ala regia attenta e illuminante di Mario Zolin.
Alla fine un lungo applauso ha ricordato l’uscita di scena di Damiano Scaini, celebre Re Lear.
Alberto Cattini