/// AL PREMIO TOTOLA
Universale il «male in cornice» spiegato da Vittorino Andreoli
Ospite d’onore all’apertura della sedicesima edizione del Premio Totola dedicato al Teatro d’autore italiano contemporaneo, lo psichiatra, letterato e commediografo Vittorino Andreoli, ha fatto riflettere il folto pubblico sulla realtà del male che attanaglia il mondo e ne ha spiegato la tragica attualità.
L’intervento del professore ha introdotto lo spettacolo sull’Olocausto che ne è seguito, ossia «Processo a Dio», testo di Stefano Massini a cura della compagnia mantovana Campogalliani, e di forte impatto è stato il «fare una cornice» al tema, parole usate dal luminare per affrontare l’argomento dell’altra faccia del bene, sia dal punto di vista quotidiano sociale, a partire dalle guerre e non solo quella in Ucraina, che letterario, specchio di una condizione universale di delirio dei valori che fa sollevare la domanda, in chi crede, «Dove è finito Dio?» e in chi non crede: «Dove può ancora arrivare la belva umana?».
«Io che mi occupo di uomo vorrei qui trattare il rapporto tra l’uomo e il male che è un problema talmente grande da far pensare che il male supera persino l’uomo», ha detto Andreoli, il quale si è riferito come primo elemento di analisi al grande scrittore russo Fëdor Dostoevskij. «Nei fratelli Karamazov il romanziere ha parlato del male sia fisico che psicologico. In questa opera si spiega la grandezza del male, il fascino del male». Andreoli è passato quindi ad esporre la valenza del male quale «massima espressione della libertà»; ha inoltre citato il libro «La notte» di Elie Wiesel (1928-2016), Premio Nobel per la pace nel 1986 per invitare il pubblico ad una lettura di questo romanzo autobiografico che racconta l’esperienza dell’autore, ebreo ortodosso, deportato con la famiglia ad Auschwitz.
La grande svastica ha quindi dominato la scena all’apertura del sipario per il «Processo a Dio» della compagnia Francesco Campogalliani la quale, specie attraverso l’interpretazione portante dell’attrice Roberta Vesentini, è giunta alla conclusione che Dio c’era nei lager ed era quegli uomini immolati nel nome del male: un concetto aperto che il crudo testo di Stefano Massini spalanca anche oltre la Shoah ma si estende a condannare ogni forma di guerra, violenza, sopruso, orrore. Un lavoro diretto con ruvida intimità realistica da Mario Zolin, che lascia il segno per verità e memoria ed evidenzia la vocazione della compagnia allo scavo introspettivo negli abissi dell’animo umano.
Michela Pezzani