Delitto e castigo al Teatrino d’Arco
Il capolavoro di Dostoevskij viene messo in scena dall’Accademia “Campogalliani” nella riduzione teatrale di Glauco Mauri
29/10/2016
di Maria Luisa Abate
La Stagione 2016 – 2017 al Teatrino d’Arco ha inizio con il capolavoro di Fëdor Dostoevskij "Delitto e castigo", nella riduzione teatrale di Glauco Mauri. Gli attori dell’Accademia Teatrale “Campogalliani” debuttano il titolo sabato 29 ottobre, con repliche fino al 18 dicembre.
Così spiega la regista Maria Grazia Bettini: «C’è molto teatro in questo primo dei grandi romanzi che resero celebre all’estero il nome di Dostoevskij e che rimane il più noto e popolare ancora oggi. Teatrali sono i grandi effetti che accompagnano una vicenda a sfondo poliziesco, ma soprattutto tali risultano essere i rapporti tra il giovane Raskolnikov, autore dell’omicidio di una vecchia usuraia (e, accidentalmente, anche della sorella di lei), e il giudice Porfiri. Ma ci sono riflessioni che sembrano una proiezione del nostro secolo e del nostro presente, dove un uomo uccide a caso centinaia o migliaia di persone per una presunta idea o superiorità.
“l’uomo non comune ha il diritto ... non già un diritto legalizzato ... ma un diritto suo di autorizzare la propria coscienza a scavalcare certi ostacoli – sì, anche il delitto – ma solamente quando una sua idea, utile talvolta per tutta l’umanità, lo esiga.”
“...gli uomini si dividono in due categorie: una inferiore che è composta dagli uomini comuni” che servono unicamente a procreare esseri simili a loro e una superiore, quella degli uomini Veri che hanno il dono e la capacità di annunciare una Parola Nuova.”
“La libertà e il potere! Ecco! Soprattutto il potere! Per schiacciare tutte le creature tremanti, meschine, inutili: tutto il formicaio. Questa è la meta.”
Ed ecco allora il mio interesse a mettere in scena il dialogo fra Dostoevskij, i personaggi e lo spettatore per interrogarsi sull’intera esistenza. Ho pensato all’adattabilità di “Delitto e Castigo” a teatro in primo luogo nello spazio, in cui si possono rintracciare delle caratteristiche fondamentali, che lo rendono adatto a una trasposizione scenica. Infatti la città e le stanze dei personaggi, altro non sono che un bunker dismesso, uno spazio chiuso e ben circoscritto, dove gli stessi luoghi ritornano più volte all’interno della storia in un percorso cieco che il protagonista compie quasi inconsapevolmente immerso nel proprio delirio e dove il muro sbrecciato del fondo è un luogo simile alla mente sul quale i pensieri appaiono come scolpiti. Anche i costumi sono abiti che rappresentano i tormenti dei protagonisti. La recitazione, come un intenso monologo interiore, esprime il carattere indefinito dei personaggi, che altro non sono se non una diretta conseguenza delle loro idee. Le musiche e le luci vogliono valorizzare lo stato di tensione e i passaggi dalla scena al fuori scena».
Personaggi e interpreti: Rodion Romanovic Raskolnikov (Rodia), Diego Fusari; Porfirij Petrovic; Adolfo Vaini; Sofja Semënovna Marmeladova (Sonia), Alessandra Mattioli; Dmitrij Prokofevic Vrazumichin (Rasumichin); Michele Romualdi; Ilja Petrovic, Daniele Pizzoli; Kock,Andrea Frignani.
Nato a Mosca nel 1821, Fëdor Dostoevskij rimase presto orfano di madre; il padre, un medico militare, morì in seguito, alcolizzato. Studiò ingegneria all’Istituto militare di San Pietroburgo. Dopo un periodo trascorso a Mosca (1843) come impiegato statale, si dimise per dedicarsi alla letteratura. Nel 1846 uscirono i fortunati racconti “Povera gente” e il romanzo “Il sosia”.
Permeato, come molti altri intellettuali, da idee socialiste e utopiste, Dostoevskij aderì a un gruppo di giovani liberali. Nel 1849 fu arrestato dalla polizia e, dopo otto mesi di carcere, condannato a morte (22 dicembre 1849); fu quindi condotto, insieme ad altri diciannove compagni, sul luogo dell’esecuzione; poco prima che i gendarmi facessero fuoco, gli fu annunziata la commutazione della pena in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Durante la prigionia si ammalò di epilessia. Scontata la pena, si arruolò come soldato.
Nel 1859 poté rientrare a San Pietroburgo, dove si tuffò nell’attività letteraria: con il fratello Michail e altri fondò la rivista Vremja (Il tempo); quindi pubblicò alcuni scritti umoristici e nel 1861 le “Memorie da una casa dei morti”, sulla vita di deportato in Siberia. Il libro colpì lo zar Alessandro II e gli procurò nuova fama, rinsaldata da altri romanzi: “Umiliati e offesi” (1861), “Ricordi dal sottosuolo” (1864), “Delitto e castigo” (1866).
Nel 1866 si risposò con la giovane stenografa Anna Snitkina; poco dopo i due coniugi dovettero fuggire dalla Russia per debiti. Rimasero all’estero per alcuni anni (1867-71), passando dalla Germania alla Svizzera, a Firenze. La morte di una figlioletta, vissuta pochi giorni appena, suscitò nello scrittore un dolore immenso.
“L’idiota” (1868-69) fu accolto freddamente, ma “I demoni” (1873) ottenne grande successo. Dostoevskij e la moglie poterono così rientrare a San Pietroburgo. Pressato dai creditori e dagli impegni con gli editori, scrisse e pubblicò altri due grandi romanzi, “L’adolescente” (1875) e “I fratelli Karamazov” (1879-80). La sua fama era al culmine: nel giugno 1880 tenne la commemorazione pubblica, a Mosca, del centenario di Puskin. Morì il 28 gennaio 1881, onorato con funerali solenni.