Delitto e castigo al Teatrino d’Arco
Delitto e Castigo: un allestimento che rimarrà negli annali della Campogalliani
11/11/2016
di Maria Luisa Abate
La Stagione al Teatrino d’Arco è iniziata nei nomi di Dostoevskij e di Glauco Mauri. Infatti, quella replicata fino a metà dicembre, è la riduzione teatrale di “Delitto e castigo” firmata dal famoso attore e regista: un focus, uno spot light acceso su due personaggi. Parimenti, i riflettori indirizzati sulla zona centrale del palco hanno evidenziato la spazialità della regia, originale e non emulativa, di Maria Grazia Bettini, che ha tratto i protagonisti alla luce da sfondi semibui, ciechi, universali Un “sogno maledetto”, come indicato nella prima scritta sovraimpressa, in cui sono stati catapultati i soggetti. Il castigo non è tanto quello inferto dal giudice dopo aver smascherato il delitto, accettato moralmente dal sospettato, piuttosto lo spigoloso processo di mutamento interiore di quest’ultimo: una luce intermittente a fendere la nebbia della coscienza allucinata.
Questo allestimento rimarrà uno dei momenti più fulgidi dell’Accademia “Campogalliani” per il valore dei protagonisti, che hanno sostenuto alla pari un paragone attoriale apparentemente improponibile, attorniati da un cast validissimo: l’intensa Alessandra Mattioli e poi Romualdi, Pizzoli, Frignani e Ghion. L’interpretazione di Adolfo Vaini, il sornione giudice Porfirij Petrovič, è stata matura, consapevole, di convincente profondità umana. Rodia si è materializzato dalla pagina alla scena con credibilità pittorica mentre Diego Fusari pennellava alacremente sfaccettature gestuali e posturali, d’espressione e di mimica facciale, inspessendo il tratto sulla caratterialità e sulla psicologia del colpevole, dibattuto sempre più ossessivamente tra conscio e subconscio. Ci inchiniamo a tanta bravura.