TEATRO
Lo spettacolo per la regia di Zolin in scena al D’Arco
Il teatro leggero dei primi decenni del secolo scorso, fitto di mariti infedeli o traditi, ha più volte fornito a Pirandello lo spunto per insistere sul tema delle maschere. E lo ritroviamo ne "Il berretto a sonagli". In paese non c’è chi non sappia delle tresche dei signori con le giovani e fiorenti donne del popolo. L’offesa è dimenticata, se le apparenze sono rispettate. Sennonché la consorte d’un cavaliere decide di svergognare il marito e organizza una sorta d’agguato ai suoi danni nella dimora dell’amante sposata a un dipendente. Nella prima parte dello spettacolo inscenato al palazzo d’Arco per la regia di Mario Zolin, i personaggi tornano a eseguire il numero di genere: la Saracena (C. Debiasi) fomenta l’animosità della tradita, la vecchia serva (R. Bonfiglio) scuote la testa e piagnucola, il delegato (G. Braglia) oscilla indeciso e addobba il vittimismo, il fratello Fifì (F. Farinato) pensa ai debiti e non intuisce la trama, e infine la signora Beatrice (R. Avanzi), puntigliosa e vindice, non arretra all’apparire di Ciampa (S. Luzio), e alla tirata delle "tre corde" che è il modo di arzigogolare di Pirandello, di far sua la trama di corna, se ne libera inviandolo a Palermo. Segnaliamo la presenza scenica (belli i costumi) dell’Avanzi, che ha posture, e sguardi, e moti di labbra molto accattivanti, un modo incisivo di comunicare il personaggio nel solco delle irose fatali. Ma gli altri interpreti non sono gran che coordinati con la sua recitazione di rivalsa femminile.
Nel secondo atto s’impone l’umorismo del delegato, e della madre (F. Campogalliani) che di corna se ne intende. E poi parte il lungo monologo di Ciampa, che funziona, anche se ci sarebbe piaciuta un po’ più d’auto ironia. Salvatore Luzio è un’interessante novità della Capogalliani. Applausi per tutti. Puntuali i costumi e le scene di Diego Fusari, e la colonna sonora di Nicola Martinelli.
Alberto Cattini