di Walter Cortella
Il cartellone del 45o Festival Macerata Teatro, dopo la commedia contemporanea, vagamente tinta di giallo, Tressette con il morto di Gerry Petrosino, torna al teatro classico proponendo Pigmalione, di George Bernard Shaw, nell’allestimento dell’«Accademia F. Campogalliani» di Mantova, per la regia di Maria Grazia Bettini.
In questa celebre commedia l’autore affronta temi a lui molto cari, come la lotta di classe, l’emancipazione femminile, la fonetica e la superficialità dell’alta borghesia, ma forse il nodo centrale intorno al quale ruota tutta la vicenda è la manipolazione operata da sempre dall’uomo a danno dei suoi simili.
Nel caso specifico, il prof. Higgins, illustre studioso di fonetica, colpito dai modi rudi e dal linguaggio a dir poco pittoresco di Elisa Doolittle, una umile fioraia incontrata casualmente in una serata di pioggia sul marciapiedi antistante un teatro londinese, decide di impartirle lezioni private per farle acquisire buone maniere e un linguaggio più corretto. È convinto che nel giro di soli sei mesi riuscirà a introdurla addirittura a corte. Non c’è che dire, una bella pretesa! Un esperimento intrigante! In realtà, il suo ambizioso progetto nasconde tra le pieghe un risultato secondario non del tutto condivisibile. Va bene l’elevamento culturale delle persone, ma fino a qual punto è lecito togliere qualcuno dalla strada, “ripulirlo” in tutti sensi, fargli conoscere nuovi stili di vita, assaporare solo per un breve tempo i piaceri e i lussi di un mondo del tutto diverso dal suo per poi abbandonarlo al suo destino? Che cosa ne sarà di lui una volta concluso l’esperimento? Riuscirà a farsi accettare nei nuovi ambienti sociali o dovrà rientrare sconfitto nel suo habitat naturale, nel quale si sentirà non più comunque a suo agio?
Di primo acchito non è facile dare una risposta a questa domanda, ma è grave che il cinico prof. Higgins di Shaw non si ponga assolutamente il quesito, nemmeno quando l’onesto colonnello Pickering, suo estimatore ed entusiasta partner nell’esperimento, lo induce a riflettere sulla liceità della sua operazione socio-culturale. A Higgins non interessa affatto il futuro della sua allieva, è un argomento che non lo sfiora minimamente. E invece dovrebbe farlo riflettere.Lui, egoista, narcisista e cinico, vuol ad ogni costo vincere la scommessa che ha fatto in fondo con se stesso: plasmare una nuova creatura, più nobile dell’originale,almeno all’apparenza, per far rivivere così nel XX secolo il mito del Pigmalione di Ovidio. Mutatis mutandis, è ciò che accade quando un pover’uomo, confinato nel ghetto dell’indigenza, vince improvvisamente uno di quei ricchissimi jackpot a sei zeri! Quale stravolgimenti può indurre nella sua esistenza una simile vincita inattesa, anche se in segreto sempre desiderata? Non è facile fare previsioni, è vero, ma l’esperienza ci dice che quei neo-ricchi hanno in seguito pagato a caro prezzo tanta fortuna. Il buon senso dovrebbe illuminare chi di dovere! Ma torniamo alla commedia, proposta nella traduzione di Luigi Lunari nella quale, finalmente, la simpatica Doolittle parla un cockney made in Italy, ovvero un italiano infarcito di errori sintattici, di espressioni grevi e di termini scurrili, tipico di un strato sociale di bassa levatura, eliminando una grossa e ridicola incongruenza, quella di sentire una fioraia inglese di nome Doolittle che a Londra si rivolge a persone naturalmente anch’esse inglesi, in un improbabile lingua dalla cadenza pugliese o ciociara.
Inammissibile! In questo modo, il Pigmalione di Lunari è chiaramente più gradevole e credibile.Grazie, Lunari. La commedia è giocata sul filo dell’umorismo più raffinato, dall’inizio alla fine. Ottima l’interpretazione di tutti i componenti del cast, a cominciare da Diego Fusari, il cinico e «odioso» prof. Higgins, sempre sicuro di sé sulla scena. Una riuscita caratterizzazione, la sua. Accanto a lui, una graziosa Rossella Avanzi, convincente sia nel ruolo dell’umile fioraia che in quella di nuova lady. Ha saputo rendere appieno la «metamorfosi» operata in lei dal celebre linguista. Mario Zolin, impeccabile nel ruolo del colonnello Pickering, un ufficiale d’altri tempi, con il suo aplomb d’alta scuola. E che dire di Francesca Campogalliani? Perfetta nei panni della signora Higgins, dolce con gli ospiti e severa con il bizzoso e viziato figlio. Sempre pacata e raffinata nelle movenze. Adolfo Vaini ha il merito di aver conferito grande calore umano al rude ma simpatico Alfred Doolittle, più incline alla sana e godereccia vita delle osterie che a quella «ingessata» del nuovo ricco. Impeccabile la sua interpretazione. Bravi anche tutti gli altri elementi del cast, ma vorrei citare in particolare Antonella Farina. Austera nel tratto ma elegante nelle movenze, ha dato vita ad una perfetta signora Pearce, la governante di casa Higgins.E la scenografia del trio Fusari-Pizzoli-Zolin? Originale, semplice e raffinata: niente suppellettili ridondanti, ma leggeri disegni su pannelli mobili e sedie bianche, ad evocare un sobrio arredamento in stile Chippendale. I vari cambi di scena sono stati eseguiti tutti «a vista» dagli stessi protagonisti, con eleganti movimenti coreografici. Un vero tocco di classe. Infine un commento sui costumi, opera di Francesca Campogalliani e Diego Fusari: deliziosi, ricercati e ricchi. Numerosi e di raffinata fattura. Onori alla sartoria Costa Pereira. Con questo Pigmalione di così alto livello artistico, diretto con collaudata perizia da Maria Grazia Bettini, l’«Accademia Campogalliani», da sempre «punto di forza» della kermesse maceratese, si conferma come una delle migliori compagnie amatoriali italiane.
(Foto di Maurizio Iesari)