LA METAMORFOSI DAL VENEZIANO NON TRADISCE GOLDONI E LA CAMPOGALLIANI HA IL RITMO GIUSTO
Dalle strade davanti al mare e sotto il cielo di Chioggia, in cui sono solite vivere "Le baruffe chiozzotte" di Carlo Goldoni, si puó trascorrere ai ciottoli di Piazza Viterbi a Porto Catena, e poi a Palazzo Gazini e a Villa Gobio, per "Le barufe ’d Cadena". Il trasferimento ambientale, e la connessa metamorfosi del testo veneziano, sono rese possibili grazie alla traduzione e all’adattamento in dialetto mantovano di Ada Magri Poldi. E alla regia di Italo Scaietta, alle scenografie di Daniele Pizzoli, alle musiche di Nicola Martinelli, e all’interpretazione degli attori della Campogalliani. Protagonisti comunque sono sempre i pettegolezzi che nascono irresistibili sulle labbra delle donne, e apportano alla nozione del ridicolo una coloritura speciale. Lo spiega bene Medea (Lucietta in Goldoni) quando alludendo a sé stessa, sostiene che pur non avendo voluto parlare, non aveva saputo tacere: la parola le saliva alla bocca, cercava d’inghiottirla, e si sentiva soffocare, donde il fluire fuori, fin che ce n’era. Non ha misurato le conseguenze, e nella circostanza, deplora il suo pettegolare, per istinto, insomma rivela la sua onestá originaria che in Goldoni viene sempre riconosciuta. A baruffare sono le mogli sorelle fidanzate dei pescatori, un quintetto che sembra scaturire da modulazioni diverse di una sola voce. Anche se poi emergono i tratti distintivi. Checca/Zerbetto porta nella baruffa un’invidia da ragazza senza fidanzato, mentre Medea/Debiasi una superbia da prossima sposa. Carolina/Farina, silenziosa, e scaltra, è anche la più aggressiva. Delle due maritate, Amalia/Bertoli sembra baruffare in nome della famiglia, e Pasquina/Campogalliani rivela un comico puntiglio, un accanimento, che solo il bastone agitato dal marito mette a tacere. Gli uomini sono coinvolti per caso nelle baruffe. E se Tognino/Spagna interviene con energia, Giobatta/Pizzoli s’infuria senza costrutto, e non sa che ripetere «donna danno, donna malanno». Una gelosia ombrosa e scontrosa con istanti malinconici si esprime in Tano/Flora, la credulitá nelle donne è invece la caratteristica di Gepe/Romualdi. Sciocco e pauroso è Toffolo/Bertoni, causa involontaria di tutta la vicenda, il querelante dei due nuclei rissosi. Per cui appare il cancelliere/Vaini. Il personaggio di legge è consapevole di più funzioni drammatiche, essendo il conciliatore che favorisce i matrimoni, ma non tanto disinteressato da non nutrire delle mire su Checca, e non ignorando che lo spasso del testo sta proprio nel non infierire sui contendenti. Uno spettacolo divertente, questo della Campogalliani, in cui ciascun interprete ha modo di brillare in modo esilarante, finanche il messo/Valle nelle sue brevi apparizioni. E riserba alcuni momenti di gran finezza, come l’attacco del secondo atto: l’interrogatorio di Toffolo ci regala un Vaini misuratissimo, straordinario. Applausi a scena aperta per tutti.
Alberto Cattini