“Finché ci sarà una sola Majdanek sulla faccia della terra Dio sarà in qualche modo sotto processo”.
Ancora adesso esistono campi di detenzione o concentramento. Si alzano muri per contenere o respingere. La scenografia racconta questo. Le reti di filo spinato chiudono il fuori libero da quanto succede all’interno. Inizialmente l’ambiente buio e freddo sottolinea la cupa drammaticità dell’evento, successivamente la luce scolpisce i passaggi fondamentali e si concentra sui personaggi come a svelarne l’interiorità. La musica sottolinea gli stati d’animo, le emozioni e i sentimenti. Il padiglione 41 è un magazzino. Contiene le povere cose (abiti, foto, lettere, giocattoli) sequestrate agli uomini alle donne e ai bambini ridotti a un numero e ormai senza identità . E contiene anche oggetti di valore sottratti agli internati, trofei da poter vendere. Essi rendono ancora più efferata la vicenda, rappresentando l’ingordigia dell’animo umano che è pronto persino allo sterminio per sete di potere. Tutto questo si è basato su teorie filosofiche e ha cercato sostegno su motivazioni economiche, politiche e religiose per giustificare il fatto di essere nel giusto. E’ l’esaltazione dell’uomo che arriva a sentirsi Dio. Per non dimenticare… ma l’uomo troppo spesso dimentica troppo in fretta.
La regia rende omaggio allo scomparso maestro Aldo Signoretti che con le sue opere sul tema ha costituito fonte di ispirazione.
Situato a due chilometri da Lublino, fino al maggio del 1942 è un Lager destinato in parte ai prigionieri di guerra sovietici e in parte ad accogliere polacchi espulsi dai territori destinati a essere colonizzati da insediamenti tedeschi.
A partire dalla metà del 1942, con l’arrivo di migliaia di ebrei da Lublino, dalla Boemia, dalla Slovacchia e dalla Polonia in genere, il Lager, oltre a mantenere la sua prima carattersitica di campo di concentramento e lavoro forzato, diventa centro di sterminio per ebrei mediante il gas e uccisioni all’aperto.
Mentre nei primi tempi i detenuti (in prevalenza uomini) portano la classica divisa zebrata dei Lager tedeschi, con l’arrivo delle famiglie di ebrei (uomini donne e bambini) e l’espansione del sistema dei Lager in tutta Europa, l’abbigliamento degli internati viene recuperato dai magazzini dei beni sequestrati e nel campo si possono vedere detenuti del primo periodo con la divisa a righe e una maggioranza di detenuti vestiti con abiti civili (sempre sporchi e maleodoranti oltre che strappati e rotti).
A Majdanek non viene tatuato il numero di matricola sul braccio (come accade unicamente ai detenuti di Auschwitz), ma il numero di matricola è cucito sui vestiti. Poiché, tuttavia, i trasferimenti di ebrei da Auschwitz sono frequenti e riguardano qualche migliaio di prigionieri è possibile incontrare anche detenuti di Majdanek con il numero di matricola sul braccio.
La più grande esecuzione all’aperto di prigionieri della storia dei Lager avviene a Majdanek. L’operazione «festa del raccolto» del 3 novembre 1943 è il nome in codice dello sterminio degli ebrei ancora in vita a Majdanek. Migliaia di ebrei vennero fucilati senza interruzione dalle 6 alle 17, mentre degli altoparlanti diffondevano le note dei walzer di Johann Strauss.
Si stima che le vittime della giornata raggiunsero le 18.000.
La cifra degli ebrei, uomini donne e bambini che hanno perso la vita a Majdanek oggi è stimata intorno alle 60.000 vittime.
Sessi Frediano
Laureato all’università di Firenze, Stefano Massini a 24 anni inizia a frequentare l’ambiente teatrale durante il servizio civile collaborando con il “Maggio Musicale “ . Nel 2001 è assistente volontario di Luca Ronconi al Piccolo Teatro di Milano. Inizia a sperimentare la scrittura scenica e dal 2005 decolla la sua attività di drammaturgo, vincendo all’unanimità il Premio Tondelli per l’opera originale “L’odore assordante del bianco”. Massini ha vinto sette premi della critica tra Francia, Italia, Germania e Spagna e i suoi testi si sono imposti oltre i confini italiani come autentico fenomeno. Prendendo spunto dagli eventi successivi alla crisi economica del 2008 Massini scrive “Lehman Trilogy” tradotta in 15 lingue, rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo e celebrata da Broadway al West End di Londra. Nel 2015 viene designato , alla scomparsa di Ronconi, nuovo consulente artistico del Piccolo Teatro di Milano. Nell’autunno 2017 esce il secondo romanzo per Mondadori “L’interpretatore dei sogni” da cui è stato tratto uno spettacolo teatrale in scena al Piccolo Teatro scrive inoltre “L’Italia senza Moro” da cui è stata tratta l’omonima trasmissione televisiva di e con Luca Zingaretti.
“Processo a Dio” di Stefano Massini è un processo in piena regola dove la verità storica dell’Olocausto è incarnata e rivissuta da personaggi immaginari.
Polonia, estate del 1944: l’ultima notte nel padiglione 41 del lager dopo la liberazione da parte dei Russi: Elga Firsch attrice di Francoforte deportata a Majdanek; consapevole della ferita impressa indelebilmente nella sua anima per la disumana violenza subita, decide di processare Dio per la sua imperdonabile lontananza dalla devastazione che ha colpito il suo popolo. I capi d’imputazione, scanditi senza esitazione dalle dimostrazioni di Elga, sono raggruppati in cinque passaggi chiave: gli ebrei sono stati ridotti in schiavitù, sono stati massacrati sistematicamente, sono stati venduti, sono stati illusi e traditi, e infine, seppure creati a immagine e somiglianza di Dio, sono stati privati della loro umanità.
I due saggi Solomon e Mordechai, scampati all’eccidio, assumono il ruolo delicato di giudici.
Il rabbino Nachman, talvolta imbarazzato, sente il dovere di sostenere le tesi dei testi sacri per garantire la difesa dell’imputato Dio.
Il giovane Adek, figlio del rabbino, irrequieto e desideroso di vendetta, verbalizza gli atti del processo.
Il capitano Reinhard con lunghi silenzi rappresenta il silenzio di Dio.
Il dialogo è fluido e incalzante. La scrittura, efficace ed essenziale, scava nel profondo dei sentimenti.
Nel dramma l’uomo appare come una marionetta: ma fino a che punto è colpevole chi muove i fili?
Come non interrogarsi anche oggi sull’incongruenza nel mondo?
per lo spettacolo “Processo a Dio” di Stefano Massini
Dopo approfondite riflessioni la Giuria ha deciso all’unanimità di assegnare un Premio Speciale a Roberta Vesentini per la perfetta aderenza recitativa al personaggio immaginario di Elga Firsch del Processo a Dio di Stefano Massini, a cui restituisce una verità umana forte, caparbia, determinata, che va oltre il ruolo che le è stato assegnato per diventare metafora di una incessante interrogazione sui mali del mondo, che ancora oggi ci interpellano davanti alla tragedia ucraia, che non sembrano trovare risposte soddisfacenti neanche in quel “silenzio di Dio” che sovrasta il pensioro religioso e lo spirito dei “non credenti”. A tutte queste questioni, Roberta Vesentini oppone la forza di una pietas che non fa sconti a nessuno, tantomeno a se stessa, attraverso una “cognizione del dolore” consapevole e partecipa che ci costringe a ragionare sull’Olocausto, ma non solo.
Primo premio assoluto per gradimento del pubblico del 90,31 per cento.
LUNEDÌ, 13 GENNAIO 2020
Mantova - cultura e spettacoli
Da principio un capitano delle SS chiude in un magazzino di Majdanek (lager poco distante da Lublino, in Polonia orientale) un ebreo bendato; in realtà si tratta di uno scambio di divise, e forse di ruoli. Corre l’estate del ’44, e l’Armata rossa ha liberato i prigionieri, e catturato le guardie.
A ripristinare le identità nello spazio del magazzino dietro il crematorio, è un’ex attrice tedesca, Elga Firsch, che ha convocato sul posto due anziani della sinagoga. La sua intenzione è di montare un “processo a Dio”. In vero si dovrebbe dire a Jahvè, per l’illusione ebraica d’essere “il popolo eletto”, e pertanto deciso a porsi la domanda dove fosse Dio nel lager di sterminio. Di qui i cinque capi d’imputazione che Elga propone al dibattito, con tanto di prove raccolte negli uffici del campo. In realtà il sillogismo che ha in mente Stefano Massini, l’autore del dramma, è un sofisma, un ragionamento capzioso, per niente concludente. Così che per sciogliere il processo ricorre a un colpo di teatro.
Di là della soluzione adottata, la pièce risulta interessante per la tensione che la regia di Mario Zolin, che interpreta anche il rabbino, e ha ideato la scenografia, sa imprimere a quella singolare assemblea di cinque ebrei e un ariano rivestito della divisa. Nella seconda parte, coinvolge per la rabbrividente esposizione delle prove raccolte che costituiscono una summa degli orrori del lager. In tale veste assurge a protagonista assoluta Elga, che segna il ritorno alle scene di Roberta Vesentini. L’attrice sa ricreare con pathos irridente il momento della sua fucilazione. Era scampata alla morte solo per l’arma che inceppatasi non aveva fatto fuoco. Di seguito può mostrare le prove con cui migliaia di ebrei furono trucidati, e torturati dai medici che in infermeria sperimentavano i gradi del dolore su corpi di ragazzi.
La Vesentini è bravissima nel trovare i toni esatti per rievocare quelle scene, e adeguarvi le espressioni del viso nei modi d’un grottesco che disegna con dignità, pur tra folate d’angoscia per l’oltraggio patito dagli ebrei era, di un’enormità disumana. Non solo Roberta, tutto il gruppo di scena sa reggere la prova con bella misura, lo stesso Zolin e Di Mauro nel ruolo del figlio, Rodelli e Marra, i due anziani, e Romualdi, in quella del nazista, sanno ricreare un mondo che una massa di folli vorrebbe rinnovare oggi. Lo spettacolo abbassa le luci di Codognola nei momenti in cui la memoria richiede una concentrazione particolare, e la selezione musicale di Martinelli si fa più dolente nel sentire recitare le ultime proposizioni. Commozione ed applausi.
Alberto Cattini
Il testo di Stefano Massini è magnifico. Scolpisce un crescendo di stati d’animo che fanno venire la pelle d’oca per vividezza: dallo smarrimento allo sconcerto, all’incredulità delle vittime, incapaci esse stesse di immaginare fino a quale punto si fosse spinto l’orrore nei lager. Una situazione inventata a dar vita al contesto storico della Shoah, che Frediano Sessi descrive nelle note al programma di sala.
Gli attori dell’accademia Campogalliani, tutti, sono bravissimi, con la punta di diamante di Roberta Visentini, nulla meno che eccellente per la profondità di introspezione del personaggio. Processo a Dio è al teatrino d’Arco di Mantova fino a lunedì 27 gennaio, Giorno della memoria, per la prima volta in forma scenica. Mediante l’azione essenziale, la regia di Mario Zolin esalta la forza della parola e la sua potenza evocatrice, il ritmo incalzante del raccolto, il turbinio di sentimenti ed emozioni che dal palcoscenico si irradia in platea.
Le domande si ripetono da cinquemila anni, afferma il rabbino (lo stesso Zolin): dov’era Dio mentre si perpetrava lo sterminio di massa? Non al padiglione 41, dove la morte ha vinto. E se l’uomo è stato fatto a sua immagine e somiglianza, allora il colpevole è Dio? Dio ha reso schiavo, venduto, tradito e illuso l’uomo, privandolo infine dell’umanità. Forse l’unica risposta è la presa di coscienza.
Davanti a un tribunale (Paolo Di Mauro, Giampiero Marra), il giorno dopo la liberazione del campo di Majdanek nell’estate 1944, viene messo sul banco degli imputati un gerarca (Michele Romualdi) che si riteneva una divinità per il potere derivante dell’arma stretta tra le mani. Il colpo si inceppò e la vittima designata rimase nuda sul terreno ghiacciato, ma viva. Elga Firsch aveva una vita. Era un’attrice, abituata a cappelli di piume e abiti color turchese, prima di diventare un numero.
Adesso l’ebrea ha comperato il nazista che si credeva Dio per processarlo. lei abituata a recitare, “mette in scena” la verità, la sola ad avere valore rispetto all’inutile ricerca di un colpevole. Dal suo atto d’accusa, confermato da prove, emergono le proporzioni delle atrocità: persone usate come animali di fatica, come cavie da esperimento, come agglomerati di capelli, denti, ossa da commerciare. La verità colpisce i protagonisti e gli spettatori, come un pugno nello stomaco. Una lacerazione dell’anima. Il buco nero di un’umanità divisa tra chi esibisce una svastica nero-rossa e chi una stella gialla. Ma i simboli uniformano. A Majdanek c’è chi muore morendo e chi muore vivendo.
Maria Luisa Abate
LUNEDÌ, 6 GENNAIO 2020
cultura e spettacoli - Mantova
La ricca stagione dell’Accademia Campogalliani prosegue al Teatrino d’Arco da sabato 11 gennaio con lo spettacolo Processo a Dio di Stefano Massini per la regia di Mario Zolin che sarà rappresentato fino a lunedì 27 (Giornata della Memoria). «Massini, attualmente l’autore italiano più rappresentato all’estero - evidenzia la compagnia - notissimo al pubblico per i suoi colti interventi alla trasmissione Piazza Pulita sul canale La7, è attualmente il direttore artistico del Piccolo Teatro di Milano. Con “L’odore assordante del bianco” ha vinto sette premi della critica tra Francia, Italia, Germania e Spagna e i suoi testi si sono imposti oltre i confini italiani come autentico fenomeno». Prendendo spunto dagli eventi successivi alla crisi economica del 2008 Massini scrive “Lehman Trilogy” tradotta in 15 lingue, rappresentata sui palcoscenici di tutto il mondo e celebrata da Broadway al West End di Londra. «Nel testo Processo a Dio, che riscosse subito un grande successo di pubblico e di critica al suo debutto nel 2006 - continua la nota della compagnia - per la regia di Sergio Frantoni con Ottavia Piccolo grande protagonista, l’autore mette in scena un processo in piena regola con personaggi immaginari imbevuti di verità storica: alla sbarra lo sterminio senza la retorica dell’orrore. Polonia, primavera 1945: è l’ultima notte al lager, la prima dopo la liberazione. Nel padiglione 41, una baracca di legno con una pesante porta, Elga Firsch, attrice di Francoforte deportata a Maidanek, consapevole dell’impossibilità di liberarsi della violenza subita, decide di mettere alla sbarra Dio e la sua imperdonabile lontananza dalle sciagure che hanno colpito il suo popolo». Sul banco dell’imputato il capitano Rudolf Reinhard, «aguzzino del campo di sterminio, vittima della sua stessa bramosia di sostituirsi al divino. Non c’è tempo per un’udienza preliminare. Le cinque accuse di Elga reclamano un giudizio immediato: gli ebrei sono stati ridotti in schiavitù; gli ebrei sono stati massacrati sistematicamente; gli ebrei sono stati venduti; gli ebrei sono stati illusi e traditi; gli ebrei, benché creati a immagine e somiglianza di Dio, sono stati privati della loro umanità». Come ogni processo anche questo necessita di testimoni e giudici. Ecco Solomon e Mordecai, due saggi che assumono il delicato ruolo di giudici, ma nella sede dell’occasionale tribunale fa il suo ingresso anche il rabbino Nachman Bidermann, presenza indispensabile per controbattere le accuse spietate. Spetta invece a suo figlio, l’irrequieto giovane Adek Bidermann, verbalizzare gli atti dell’aspro e analitico processo che pone continuamente domande destinate a rimanere inevase. «Nel dramma l’uomo appare come una marionetta: ma fino a che punto è colpevole chi muove i fili? Come non interrogarsi anche sull’incongruenza del mondo?». Gli interpreti dello spettacolo, diretti dal regista Mario Zolin, sono: Roberta Vesentini, Mario Zolin, Paolo Di Mauro, Giovanni Rodelli, Giampiero Marra e Michele Romualdi. Le scene sono ideate da Mario Zolin, i costumi da Francesca Campogalliani e Diego Fusari, le luci curate da Giorgio Codognola e la selezione musicale da Nicola Martinelli, la realizzazione delle scenografie e degli elementi scenici è realizzata dalla Falegnameria Busoli, la direzione scenica è affidata a Diva Polidori e Marina Alberini mentre l’aiuto alla regia a Marco Federici.
I biglietti sono già acquistabili e prenotabili alla biglietteria del Teatrino d’Arco (tel. 0376 325363) dal mercoledì al sabato dalle 17 alle 18,30 oppure direttamente online sul sito www.teatro-campogalliani.it. --
95%
“ECCELLENTE”
Contenuto ed interpretazione eccellente. Ho comprato il libro e ho compreso meglio. Sicuramente meglio dal vivo. L’acustica su zoom non è delle migliori.
Molto interessante, recitato benissimo. Argomento su cui riflettere ....
E’ molto, molto intenso ed emozionante. Gli attori sono stati eccellenti. Un incalzare drammatico: hanno saputo trasmettere il dramma dei sentimenti . Grazie
molto coinvolgente, fa molto riflettere.
Grande interpretazione da parte di tutti gli attori. Roberta Vesentini empatica, toccante e comunicativa: una perfetta Elga Firsch. Assolutamente da vedere.
Ottima. Mi é rimasto dentro per tutta la sera.
Toccante, incisivo, interpretato benissimo
Intensa e sentita rappresentazione riguardante un tema sempre di estrema attualità. Tutto il pubblico presente nel Teatrino di Palazzo d’Arco ha seguito con particolare attenzione il susseguirsi del “Processo”, applaudendo a lungo al termine dello spettacolo. Complimenti al Regista, agli Attori sul palco, ai Tecnici ed a tutta la Compagnia Teatrale Francesco Campogalliani per la realizzazione dell’opera.