È stato un anno difficile e faticoso, pieno di imprevisti, ma con grande impegno e determinazione noi e i nostri ragazzi siamo arrivati alla meta. Nonostante tutto volevamo far vivere il teatro, tenere accesa quella fiammella a noi tanto cara e siamo riusciti a realizzare il nostro sogno, lo spettacolo di fine corso! Siamo fatti di sogni e speranza, senza dei quali non si può vivere bene; i sogni sono la linfa che fa nascere grandi cose e per questo vanno protetti. “Alla ricerca dei sogni perduti” parla proprio di questo; i nostri sogni a volte si possono perdere, possono diventare incubi spaventosi, ma nulla è perduto: basta cercare dentro di noi…e come dice il Sognatore: “Bisogna credere nei propri sogni, viverli! La vita è bella senza tristezza perché sono i sogni la nostra allegrezza!”
Achille Campanile nasce a Roma il 28 sett. 1899 da Gaetano Campanile soggettista napoletano , regista di film muti e capo redattore de "La Tribuna", e da Clotilde Fiore. Grazie alla cultura letteraria assorbita in famiglia , della quale si impregna, e alle sue naturali doti di scrittore umorista, sarà presto anche lui scrittore , drammaturgo, sceneggiatore e giornalista italiano . La sua scrittura sarà sempre pregna della sua abilità nel giocare con le parole e di un suo umorismo surreale; il suo stile si compone di una prosa curata, precisa e ricca di impeccabilità linguistica. Tra i suoi estimatori troviamo Pirandello e Montale, Umberto Eco e Carlo Bo che gli riconosce di essere uno dei rarissimi inventori di un nuovo genere letterario. Come tutti gli umoristi fu sottovalutato per anni dalla critica letteraria, finché negli anni settanta i tempi maturarono per rendergli alfine giustizia. Muore a Lariano il 4 gennaio 1977.
Perché la scelta di Campanile per far debuttare sulla scena sette giovani promesse del teatro? Innanzitutto per la volontà di far conoscere loro l’autore, di far riscoprire l’importanza delle parole; in secondo luogo dare loro la possibilità di giocare con battute veloci e sintetiche che non danno scampo: bisogna velocemente cambiare espressione mimica e impostazione della voce, per adattarla alle nuove situazioni che via via si vengono a creare. Da qui la scelta di non usare complicate scenografie e costumi elaborati, solo l’attore, la sua voce, la sua mimica e le parole che vengono supportate, talvolta, da un accompagnamento musicale.
È una palestra per i giovani attori, un’arena dove cimentarsi quasi a punta di spada.
Anche in tempi attuali, dopo più di un secolo dalla morte dello scrittore irlandese, leggendo qualche battuta di una commedia wildiana o qualche frase lapidaria di un suo saggio, si riesce a dire in poche parole ciò che molti non riuscirebbero a dire in lunghi discorsi.
Non facile quindi scegliere uno o più testi per rappresentarlo. Gli allievi del primo Anno della Scuola di teatro Campogalliani hanno perciò affrontato tre diversi stili: gli Aforismi, la favola e il testo teatrale.
Il linguaggio utilizzato da Wilde è semplice e scarno, preciso e diretto, provocatorio ed ardito e come tale si presenta lo spettacolo. Una lettura drammatizzata della favola Il Principe felice, una esposizione di aforismi e una rappresentazione teatrale, Il delitto di lord Arthur Savile, permetteranno al pubblico e agli allievi di conoscere questo grande autore dell’Ottocento.
Oscar Wilde, figlio di una poetessa, nasce a Dublino nel 1854. Compiuti studi classici nella sua città e a Oxford si reca a Londra, dove per l’ingegno brillante e le pose stravaganti si impone presto nei circoli artistici e mondani. Viaggia molto: Francia, Italia, Grecia, Nordafrica. Nel 1882 è negli Stati Uniti per un fortunato ciclo di conferenze. Dopo una breve e fallimentare esperienza matrimoniale, desta scandalo la sua relazione con Lord Alfred Douglas. Ormai osteggiato dalla stessa buona società che vedeva in lui un idolo, subisce un processo e la condanna per omosessualità a due anni di lavori forzati (1895). Il successo letterario è notevole fin dalle prime opere (Poesie, 1881). In seguito Wilde pubblica le favole per adulti Il principe felice (1888) e La casa dei melograni (1891). Nello stesso anno escono i racconti Il delitto di lord Arthur Savile, due libri di saggi (Intenzioni; L’anima dell’uomo sotto il socialismo) e Il ritratto di Dorian Gray, suo unico romanzo, testo simbolo del decadentismo e dell’estetismo. È autore di commedie ancora oggi rappresentate in tutto il mondo: Il ventaglio di lady Windermere (1892), Un marito ideale e L’importanza di far l’onesto (entrambe del 1895). Il suo lavoro teatrale più celebre rimane tuttavia il dramma Salomè, scritto in francese nel 1891 per Sarah Bernhardt e successivamente musicato da Richard Strauss (1905). Scrive durante la prigionia alcune fra le più belle pagine in prosa (De profundis, uscito postumo nel 1905), oltre alla Ballata del carcere di Reading, pubblicata nel 1898. Rifugiatosi a Parigi dopo aver scontato la pena, muore in miseria nel 1900.
DONNE: feroce e complessa commedia satirica scritta da C. Boothe nel 1936 con un cast interamente al femminile.
Le DONNE di Clare Boothe Luce parlano sempre, tutte insieme. Si incontrano, si scontrano, si affrontano a suon di pettegolezzi e schermaglie che ruotano sempre e solo attorno al grande assente ma sempre presente uomo/marito/amante.
New York, primi anni ’60. Un gruppo di signore dell’alta borghesia amiche/nemiche, tutte legate al carro di un matrimonio per amore o per convenienza.
Tra loro Mary Haines vede crollare, dopo dodici anni, il suo perfetto equilibrio famigliare quando le amiche la metteranno di fronte alla realtà: suo marito Stephen la tradisce con Crystal, cinica, bellissima, seducente commessa di profumeria.
A questo punto tutte le convenzioni traballano e le mogli si ritrovano a Reno per un divorzio immediato.
Alla fine l’amore vero vince e le pettegole, le innamorate, le arrampicatrici voltano semplicemente pagina verso una nuova avventura.
Mary riconquista il marito per tornare alla sua “normalità “, ma forse il prezzo da pagare non era stato previsto.
A differenza dell’ambientazione dell’autrice negli anni ’30, ho scelto il mondo anni ’60, dove si respirava già qualche accenno di voglia di indipendenza femminile, pur rimanendo la famiglia e il matrimonio valori irrinunciabili.
Ogni personaggio femminile ha un carattere particolare, ma tutte insieme sono la Donna, con le sue contraddizioni, sensibilità, partecipazione buona o cattiva alla vite degli altri.
Le donne sono (ovviamente) soggiogate al mondo maschile, per loro non esiste un altro modo di concepire l’esistenza, di sentirsi donne (persone?). Ma il riscatto arriva dopo (è proprio questo il punto): l’aver capito perfettamente come manipolare il meccanismo dal di dentro; l‘aver assimilato la regle du jeu molto meglio delle loro controparti maschili permette loro di trasformare un ambiente del quale sono succubi in qualcosa da poter dominare.
Questo è il messaggio dello spettacolo, costruito con le attrici, allieve del Corso avanzato della Scuola di Teatro.
Clare Boothe Luce, nata Ann Clare Boothe, è stata una giornalista, scrittrice, attrice, politica, sceneggiatrice e ambasciatrice statunitense.
Nasce nel 1903 a New York. L’infanzia non è facile. I genitori si separano quando ha soli 8 anni. Per pagarsi gli studi, Ann comincia a lavorare come attrice bambina con lo pseudonimo di Joyce Fair. Tra il 1914 e il 1922 prende parte, con buon successo, a un totale di 19 pellicole. Nel 1923, a venti anni, sposò George Tuttle Brokaw, ricco erede di una catena di abbigliamento di New York, dal quale ebbe una figlia: Ann. Dopo il divorzio nel 1929, intraprese la carriera giornalistica. Lavorò nella rivista di moda Vogue e, nel 1931, assunse la direzione di Vanity Fair, periodico di costume, cultura, moda e politica. Nel 1935 sposò in seconde nozze Henry Luce, fondatore ed editore di alcuni tra i più importanti periodici americani, quali Time, Life e Fortune. Eletta tra le file del Partito Repubblicano, dal 1943 al 1947 fece parte della Camera dei Rappresentanti, per lo Stato del Connecticut.
“A volte riuscivo a credere anche a sei cose impossibili prima di colazione…”
I celeberrimi romanzi di Lewis Carroll rivivono sul palcoscenico, riletti attraverso la duplice lente del sogno e del gioco. Nella versione elaborata dagli allievi del corso di Scrittura Teatrale, un’Alice adolescente attraversa, svagata e curiosa, un mondo diviso a metà, popolato di creature bizzarre, stretto tra confini (o forse sono siepi?) di domande più complesse di quanto sembrino... Tra balli campestri, indovinelli e l’occasionale intrusione della realtà, Alice diventa tutti noi nell’esplorare giocosamente, nello spazio indefinito del sogno, quello che forse è l’indovinello più importante di tutti: Chi sono io? Senza mai dimenticare che… siamo tutti un po’ matti, qui.