Capolavoro della cultura occidentale, Re Lear è una metafora sulla condizione umana che ingloba in sé temi molto concreti quali la vecchiaia e la pazzia, innanzitutto, ma anche l’ambizione individuale e la bramosia del potere, l’ingratitudine e la lussuria, mettendo in scena la tragedia della vita intesa come una ferita mortale. Nella tragedia si svolgono parallelamente due azioni assai simili nelle linee generali: la prima, che è la principale, consiste nella storia di Lear e delle sue tre figlie; la seconda narra le vicende di Gloster e dei suoi due figli.
Lear, re di Britannia vecchio e autoritario ha tre figlie: Goneril, moglie del duca di Scozia, Regan, moglie del duca di Cornovaglia, e Cordelia, alla cui mano aspirano il re di Francia e il duca di Borgogna. Lear decide di dividere tra di loro il proprio regno secondo il bene che queste dimostreranno di volergli e, credendo alle parole più che indagando i sentimenti, premia le avide e ipocrite Goneril e Regan, mentre ripudia l’orgogliosa e modesta Cordelia.
Goneril e Regan, infatti, manifestano uno sviscerato affetto, e ciascuna riceve un terzo del regno. Cordelia, modesta e dignitosa, invece, dice di amarlo quanto il dovere le comanda. Irato di tale risposta, il re divide la sua parte tra le sorelle. Il re di Francia accetta Cordelia senza dote. Il conte di Kent, che prende le parti di Cordelia, è bandito, ma segue il re sotto mentite spoglie. Goneril e Regan, appena hanno in mano il potere, rivelano il loro animo malvagio e fanno di tutto per scacciare il padre, ormai senza ripari, Il conte di Gloster mostra pietà per il vecchio re e, grazie a una delazione del figlio illegittimo Edmund, è sospettato di complicità coi Francesi sbarcati in Inghilterra a istanza di Cordelia ed è fatto accecare dal duca di Cornovaglia. Prima di procurare la rovina del padre, Edmund aveva calunniato presso di lui il fratello, il legittimo Edgar, costringendolo a fuggire. Camuffatosi da accattone demente (il povero Tom) Edgar si riduce a vivere in una capanna nella landa, e proprio in questa capanna cercheranno rifugio dalla tempesta Lear col Matto di Corte e il fedele Kent. Nella tempesta, al freddo e senza riparo, Lear perde la ragione. Kent lo accompagna a Dover e qui Cordelia lo riceve affettuosamente. Intanto Goneril e Regan si sono entrambe innamorate di Edmund, divenuto nel frattempo conte di Gloster. Goneril, per toglier di mezzo la rivale che, rimasta vedova, vuol sposare Edmund, l’avvelena; ma la sua trama di sbarazzarsi del proprio marito è scoperta da una lettera e Goneril si toglie la vita. Edmund, accusato di tradimento, viene ucciso da Edgar, ma prima di morire riesce a dare l’ordine d’impiccare Cordelia. Lear, che sognava di star per sempre accanto alla figlia se la vede strangolare sotto gli occhi e muore sopraffatto dal dolore.
La traduzione del testo scelta per lo spettacolo è a cura di Luigi Lunari e Angelo Dallagiacoma ed è la stessa di cui si servì Giorgio Strehler per l’allestimento al Piccolo Teatro di Milano nella stagione 1972-1973 del Re Lear che aveva come protagonisti Tino Carraro, Carlo Cattaneo, Renato De Carmine, Gabriele Lavia, da Meda, Orlando Mezzabotta, Ivana Monti, Giuseppe Rambieri, Ottavia Piccolo.
La tragedia narrata da Shakespeare si rifà alla "favola" di Leir-Lear collocabile nell’anno 3105 dalla nascita del mondo e, da questo dato di fatto non trascurabile, ne è discesa anche la necessità di rappresentare una realtà completamente astorica ("...alle soglie del tempo, non fuori tempo, ma non storicizzata") imponendosi, secondo l’intento di Strehler, qui più che altrove, l’imperativo categorico di rappresentare un testo "così come è stato scritto" senza trascurarne alcun aspetto. Nella varietà dei piani su cui Re Lear si articola, si può leggere un contrasto generazionale, un dramma familiare, una lotta per il potere, un dramma esistenziale, la manifestazione di una prepotente violenza verbale e ciascuna di queste interpretazioni coesiste in un armonico equilibrio.
Per affrontare Re Lear occorre coraggio o incoscienza, perché i contenuti poetici e i piani di lettura sono così numerosi da sembrare un labirinto senza uscita. Ho scelto, pertanto, di seguire il tema della follia attraverso la quale i personaggi principali devono confrontarsi per ritrovare la loro umanità. Ecco allora che la tempesta più volte citata nel testo è sì reale, ma è soprattutto uno sconvolgimento della ragione, dell’ordine dei sensi del re. Ecco che la verità urlata in faccia a Gloster sul tradimento di Edmund a danno di Edgar è il mezzo per sconvolgere la mente del padre, ottenebrato, a prescindere dal suo accecamento. Ecco che Edgar, tradito dal fratello, si finge pazzo per ricostruire un rapporto superficiale con il padre Gloster. Ecco che il Matto esprime frasi senza senso che, solo se ascoltate attentamente, sono vere perle di saggezza e scompare quando la follia di Lear raggiunge il culmine, quasi fosse la ragione del re. Infine ho visto nell’elemento "acqua", contenuta in recipienti, ma anche come specchio nel quale si riflette la narrazione, un elemento fondamentale della vita, della nascita e della sopravvivenza; l’acqua che cancella il sangue che scorre tra gli uomini, che sommerge una umanità stanca, un’acqua su cui galleggiano elementi o resti di umanità. Per rinascere dopo una tempesta di follia verso un mondo nuovo, sarà sempre l’acqua ad eliminare i resti di "un palcoscenico di pazzi".
In questi giorni (fino al primo aprile) l’Accademia “Francesco Campogalliani” è in scena alTeatrino D’Arco con la riduzione del testo di Shakespeare.
La follia umana è il filo rosso – come il sangue, che scorre copioso in questa tragedia – utilizzato dalla regista Maria Grazia Bettini per legare il doppio piano narrativo di Re Lear: quello della vicenda del re di Britannia e delle sue tre figlie, quello del duca di Gloster e dei suoi tre figli. Pazzo diviene Lear, pazzo si finge Edgar e il Matto è la chiave utilizzata per indagare i sentimenti del vecchio sovrano.
La traduzione del testo che è stata scelta dalla Campogalliani per la messinscena dell’opera shakespeariana, a cura di Luigi Lunari e Angelo Dallagiacoma, è la stessa di cui si servì Giorgio Strehler per l’allestimento al Piccolo Teatro di Milano nella stagione 1972/1973. Lo spettacolo propone insieme i primi tre atti, sfoltiti di scene e dialoghi, e gli ultimi due, specie il quarto, nella quasi interezza. La polarizzazione di senso risulta immediata e si sviluppa senza indugio.
Riconosciute le due forze principali della tragedia in Lear e Edmund e nel Matto il coro, la regia si concentra su Edgar, e sulla nozione oscura di paternità. Per Shakespeare, quella dei padri e dei figli è l’unica vera espressione d’amore, ma è anche portatrice di distruzione. Di qui l’angoscia che pervade il testo, che non è incentrato tanto sulla libido del potere quanto sulla natura che ci ha fatti cosìmale. La linea conduttrice è coerente ed omogenea, ma la regista Maria Grazia Bettini ha mostrato fine sensibilità nel supportare ciascun interprete con direttive calibrate. La scena fissa, atemporale, è stata ambientata in un cantiere in costruzione, una bidonville postmoderna con muri di mattoni imbrattati di sangue, travi di legno e teli di plastica, nonché taniche colme d’acqua, vasi comunicanti per equilibrare i molteplici risvolti umani e psicologici, specchi riflettenti l’immagine dell’anima.
Tutti bravissimi i sedici attori dell’Accademia “Francesco Campogalliani”: Damiano Scaini conferisce a Lear quell’umanità necessaria a nutrire potenza e decadimento, che costituiscono il percorso svolto dalla pazzia verso la sua redenzione. Stefania Zorzella è un Matto luminoso ed emozionante. L’Edgar di Diego Fusari fa esplodere nella follia simulata il conflitto tra la propria ingenuità verso il fratello e il risentimento per il padre. Gloster trova in Silvano Palmierini una disperazione sommessa e discreta...
ACCADEMIA TEATRALE“FRANCESCO CAMPOGALLIANI”
Teatrino di Palazzo D’Arco
Piazza D’Arco, 2 - 46100 Mantova
tel. e fax 0376.325363
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