Michel Tremblay, nato il 25 giugno 1942 a Montreal, nel quartiere operaio di Plateau Mont Royal, è considerato un maestro del teatro canadese e uno dei leader della nuova generazione di scrittori del Quebec. Il suo destino umano e artistico appare subito indissociabile dalle sue radici geografiche, familiari e culturali. Nel 1955 vince una borsa di studio presso una scuola privata religiosa, ma lo spirito ribelle lo fa tornare alla scuola normale. Dopo il diploma, svolge il lavoro di linotipista e in seguito di magazziniere presso il dipartimento costumi della Società di Radio-Canada, che dopo alcuni armi lascia per dedicarsi esclusivamente alla scrittura. La prima piece "il treno" del 1959, gli vale nel 1964 primo premio al concorso di radio-canada per giovani autori. Nel 1965 scrive “LE COGNATE”, accolte al debutto da consensi e condanne, nel 1966 pubblica il primo libro di racconti "Per bevitori attardati". La produzione drammaturgia comprende oltre 25 pieces tradotte in più di 20 lingue. Egli stesso è traduttore e adattatore, fra gli altri, di Aristofane, Fo, Tennessee Williams, Gogol, Cechov, oltre che sceneggiatore, paroliere e librettista.
La critica ha riconosciuto ne "LE COGNATE" una delle opere più rappresentative delle radici geografiche, familiari e culturali, dell’autore, anche per il dono inimitabile di far sentire tanto le voci contraddittorie e polifoniche di una moltitudine di personaggi dalle dimensioni archetipe, quanto la grandezza e le piccolezze di un’intera collettività.
Due voci, entrambe riconducibili alla formazione umana dell’autore, tessono la trama testuale de "LE COGNATE": quella della tribù come entità e quella dei suoi singoli membri. Ed è nel dialogo
drammaturgicamente sapiente e solo in apparenza leggero e superficiale che si rivela lo scontro fra il gruppo e l’individuo, o piuttosto il tentativo di repressione del gruppo sui suoi membri.
Che cosa accade allora quando 14 donne sono riunite nell’angusto spazio d’una cucina popolare ad incollare il milione di bollini-premio che la fortuna si è divertita a regalare ad una soltanto di loro?
E quando le donne sono cognate o si comportano come se lo fossero inalberando atteggiamenti di rivalità, gelosie e invidie più o meno 1atenti.
Accade che nello spazio di una sera in cui dovrebbero collaborare stando gomito a gomito, emergono invece gesti, comportamenti e pensieri che rivelano grettezze reciprocamente fastidiose, miserie, affanni di una quotidianità squallida ma combattiva, a tratti infelice e perfino grottesca, eppure sempre vitale e capace di mantenere i toni d’una vivacità, anche verbale, mai priva di risorse.
Ma quel che conta davvero in questo universo al femminile (solo in apparenza, perché gli uomini ci sono, eccome! anzi intorno a loro tutto ruota) sono i sentimenti, le emozioni che fanno capolino dalla maschera un po’ insolente e spavalda che ognuna indossa, finché lascia fluire ciò che sente ed è, e percepisce più lucidamente i limiti e le delusioni della sua esistenza.
Ecco che nell’alternanza quasi respinta ma prepotente fra l’immagine superficiale e quella vera, si manifestano la stanchezza, la paura della solitudine, il bisogno di evasione, le fragilità, le sfide familiari dei personaggi, ma anche la capacità improvvisa e inattesa di essere complici e in fondo di sapersi reciprocamente comprendere. E se qualche vicenda umana sfiora il dramma, quasi tutto sfuma o si risolve nell’ironia e nel sorriso.
Così, in un gioco sapiente di tensioni e distensioni anche lo spettatore si trova coinvolto a misurare la caratura morale della vita.
Il finale? Preparato nel corso della vicenda, ma imprevedibilmente concitato, perché qualche volta queste donne devono pure rifarsi, e allora sanno anche essere davvero crudeli.
La regia di un’opera come "LE COGNATE", deve partire dall’idea che non vi siano 14 personaggi distinti, quanto piuttosto che essi insieme costituiscano un unico personaggio che si sdoppia frantumandosi in 14 parti solo in alcuni momenti che si possono definire di confessione.
La tribù parla attraverso la conversazione diffusa e i cori, gli individui attraverso i monologhi ad una o più voci, così le situazioni che coinvolgono il gruppo sono sottolineate per lo più da movimenti "di massa" che si accentuano nella seconda parte della commedia, facendosi più evidenti all’avvicinarsi della sfida finale, mentre più contenuti nei movimenti in cui si interrompe la comunicazione con le altre.
Nè viene consentito di dimenticare che non hanno affinità e che si trovano insieme non perché si sono reciprocamente scelte, ma per una ragione voluta dal caso e che quindi il loro dialogare è talora incoerente e privo di una logica precisa.
Il loro vivere sul palcoscenico viene accompagnato da un coerente gioco di luci, diffuse sul gruppo, ma efficaci nell’isolare l’attrice monologante.
La cucina di Germaine Lauzon, luogo dell’incontro, così vivacemente affollata, è essenziale e quasi solo funzionale alla vicenda, in sostanza il ring nel quale avvengono confronti e scontri che a volte appaiono fatali e dal quale le ospiti di una sera sono condannate a non poter uscire fino alla conclusione liberatoria.
Ed è la "prigione" nella quale un disegno registico tutto giocato sul continuo dualismo fra le prevaricazioni del gruppo e la volontà di emergere di ognuna, costringe alla convivenza 14 donne esuberanti e un po’ indisciplinate, ma anche così vere.
Con l’avvio della prossima stagione d’autunno/inverno/primavera, previsto la sera di sabato 6 ottobre presso il Teatrino di Palazzo D’Arco, l’Accademia Teatrale “Francesco Campogalliani” concluderà il lungo programma di iniziative realizzate per festeggiare i sessant’anni di vita dell’associazione. Nell’arco di circa tre anni, oltre alla presentazione di ben cinque nuovi spettacoli e al recupero di numerosi titoli del proprio repertorio, la Campogalliani ha ospitato a Mantova, nell’estate 2006, la Compagnia del New York Theatre Institute con tre rappresentazioni del musical “American Soup” inserite nel Festival di scena e urbano organizzato dalla Fondazione Mantova Capitale Europea dello Spettacolo, ha prodotto serate di musica classica, jazz e popolare e ha edito due testi in ricordo di Francesco Campogalliani, il notissimo artista, commediografo e famoso burattinaio a cui s’intitola l’Accademia. Alla fine di quest’anno sarà, poi, dato alle stampe un compendio di cronaca degli ultimi dieci anni di attività della Campogalliani. Senza interruzioni, la Campogalliani ha alternato all’oneroso impegno delle stagioni di Palazzo D’Arco nella sede invernale e in quella estiva, trasferte a Bolzano, Gorizia,Venezia, Verona,Vicenza, Pesaro, Palermo, Macerata, Milano, Imperia, Fidenza e in altre importanti sedi teatrali, ottenendo, come sempre, il plauso del pubblico e il riconoscimento critico con i premi ottenuti ai concorsi a cui ha partecipato.
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