Antonia Brancati nasce il 6 maggio 1947 dallo scrittore Vitaliano Brancati e dall’attrice Anna Proclemer. Figlia d’arte, quindi, con un bellissimo pedigree, ha lavorato per anni in teatro svolgendo i ruoli più disparati: attrice, delegata alla produzione, aiuto regista, traduttrice, agente di testi teatrali.
Scrive commedie dal 1993 e "Preferirei di no", che narra la storia di un conflitto fra madre e figlia, viene messa in scena nel 1995 al Festival del Teatro di Taormina per la regia di Piero Maccarinelli proprio con Anna Proclemer e Fiorenza Marcheggiani. Si può dire che il legame tormentato nella vita tra la Proclemer e la figlia, che per anni non si sono parlate, sembra essere evocato sul palcoscenico nel confronto serrato e impietoso tra le due protagoniste.
Teresa, la madre e Diana, la figlia. Due donne che non si vedono da vent’anni e che, in una notte di temporale, si incontrano forse per l’ultima volta. Teresa vive da tempo ritirata in un piccolo centro, arroccata nella sua torre d’avorio, lontana dai clamori del mondo. Diana, invece, con il padre, un uomo politico importante, un "leader" come lo chiama lei, in corsa per la carica di Presidente del Consiglio. È andata a ritrovare la madre proprio per estorcerle un’intervista compiacente che giovi all’immagine del padre. L’incontro tra le due donne è teso e conflittuale: nell’arco di una notte si diranno finalmente in faccia tutto l’odio e l’amore repressi da anni senza censure.
La storia mi ha affascinato, non tanto per l’incontro tra una madre e una figlia dopo 20 anni di silenzio e dopo un episodio così drammatico come il ferimento del padre per opera della madre, ma per la forza di una donna che ha ritrovato sé stessa e non si sente obbligata, neppure da un legame naturale come quello con una figlia, a tornare ad una vita vuota fatta di falsità e conformismo. Una libertà femminile tanto difficile da raggiungere quanto fortemente desiderata da tutte quelle donne che vivono situazioni "costruite" di cui subiscono il peso della costrizione.
Ho reinterpretato la storia di questa relazione collocandola in un contesto immaginario: la madre/moglie vive sola e, forse, è ancora nella casa di cura dove è stata rinchiusa dopo il ferimento del marito. L’incontro dopo vent’anni con la figlia, che la cerca solo per ricreare un quadretto familiare utile al padre candidato alla Presidenza del Consiglio, è frutto, forse, della sua immaginazione. Nella sua mente provata ma lucida parla con quest’uomo che, in nome di un amore strumentale alla carriera politica, l’ha costretta a sopportare umiliazioni, tradimenti e falsità e incontra una figlia imbarazzante, che si è vergognata della debolezza della madre e l’ha cancellata dalla sua vita per diventare la copia del padre.
Ho immaginato, quindi, questi personaggi come fantasmi della mente, più o meno reali sulla scena, e la situazione ideata dall’autrice del testo come una seduta psicoanalitica.
Ho interpretato il finale proprio come una raggiunta libertà della donna, senza atti consolatori di riappacificazione con la vita precedente e i legami familiari; una libertà che le potrebbe permettere anche di tornare ad averli, ma solo alle sue condizioni, con amore e autenticità, non con false costruzioni o compromessi.