Nato a Mosca nel 1821, Dostoevskij rimase presto orfano di madre; il padre, un medico militare, morì in seguito, alcolizzato. Studiò ingegneria all’Istituto militare di San Pietroburgo. Dopo un periodo trascorso a Mosca (1843) come impiegato statale, si dimise per dedicarsi alla letteratura. Nel 1846 uscirono i fortunati racconti Povera gente e il romanzo Il sosia.
Permeato, come molti altri intellettuali, da idee socialiste e utopiste, Dostoevskij aderì a un gruppo di giovani liberali. Nel 1849 fu arrestato dalla polizia e, dopo otto mesi di carcere, condannato a morte (22 dicembre 1849); fu quindi condotto, insieme ad altri diciannove compagni, sul luogo dell’esecuzione; poco prima che i gendarmi facessero fuoco, gli fu annunziata la commutazione della pena in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Durante la prigionia si ammalò di epilessia. Scontata la pena, si arruolò come soldato.
Nel 1859 poté rientrare a San Pietroburgo, dove si tuffò nell’attività letteraria: con il fratello Michail e altri fondò la rivista Vremja (Il tempo); quindi pubblicò alcuni scritti umoristici e nel 1861 le Memorie da una casa dei morti, sulla vita di deportato in Siberia. Il libro colpì lo zar Alessandro II e gli procurò nuova fama, rinsaldata da altri romanzi: Umiliati e offesi (1861), Ricordi dal sottosuolo (1864), Delitto e castigo (1866).
Nel 1866 si risposò con la giovane stenografa Anna Snitkina; poco dopo i due coniugi dovettero fuggire dalla Russia per debiti. Rimasero all’estero per alcuni anni (1867-71), passando dalla Germania alla Svizzera, a Firenze. La morte di una figlioletta, vissuta pochi giorni appena, suscitò nello scrittore un dolore immenso.
L’idiota (1868-69) fu accolto freddamente, ma I demoni (1873) ottenne grande successo. Dostoevskij e la moglie poterono così rientrare a San Pietroburgo. Pressato dai creditori e dagli impegni con gli editori, scrisse e pubblicò altri due grandi romanzi, L’adolescente (1875) e I fratelli Karamazov (1879-80).
La sua fama era al culmine: nel giugno 1880 tenne la commemorazione pubblica, a Mosca, del centenario di Puskin. Morì il 28 gennaio 1881, onorato con funerali solenni.
C’è molto teatro in questo primo dei grandi romanzi che resero celebre all’estero il nome di Dostoevskij e che rimane il più noto e popolare ancora oggi. Teatrali sono i grandi effetti che accompagnano una vicenda a sfondo poliziesco, ma soprattutto tali risultano essere i rapporti tra il giovane Raskolnikov, autore dell’omicidio di una vecchia usuraia (e, accidentalmente, anche della sorella di lei), e il giudice Porfiri. Ma ci sono riflessioni che sembrano una proiezione del nostro secolo e del nostro presente, dove un uomo uccide a caso centinaia o migliaia di persone per una presunta Idea o superiorità: “l’uomo “non comune” ha il diritto... non già un diritto legalizzato... ma un diritto suo di autorizzare la propria coscienza a scavalcare certi ostacoli – sì, anche il delitto – ma solamente quando una sua idea, utile talvolta per tutta l’umanità, lo esiga.”
“...gli uomini si dividono in due categorie: una inferiore che è composta dagli uomini comuni” che servono unicamente a procreare esseri simili a loro e una superiore, quella degli uomini Veri che hanno il dono e la capacità di annunciare una Parola Nuova.”
“La libertà e il potere! Ecco! Soprattutto il potere! Per schiacciare tutte le creature tremanti, meschine, inutili: tutto il formicaio. Questa è la meta.”
Ed ecco allora il mio interesse a mettere in scena il dialogo fra Dostoevskij, i personaggi e lo spettatore per interrogarsi sull’intera esistenza. Ho pensato all’adattabilità di Delitto e castigo a teatro in primo luogo nello spazio, in cui si possono rintracciare delle caratteristiche fondamentali, che lo rendono adatto a una trasposizione scenica. Infatti la città e le stanze dei personaggi, altro non sono che un bunker dismesso, uno spazio chiuso e ben circoscritto, dove gli stessi luoghi ritornano più volte all’interno della storia in un percorso cieco che il protagonista compie quasi inconsapevolmente immerso nel proprio delirio e dove il muro sbrecciato del fondo è un luogo simile alla mente sul quale i pensieri appaiono come scolpiti. Anche i costumi sono abiti che rappresentano i tormenti dei protagonisti. La recitazione, come un intenso monologo interiore, esprime il carattere indefinito dei personaggi, che altro non sono se non una diretta conseguenza delle loro idee. Le musiche e le luci vogliono valorizzare lo stato di tensione e i passaggi dalla scena al fuori scena.
Maria Grazia Bettini
Al teatrino d’Arco va in scena l’adattamento teatrale di “Delitto e castigo”, il romanzo con cui, nel 1866, Dostoevskij (45enne) conosceva la prima celebrità. Il testo che Maria Grazia Bettini utilizza è quello approntato nel 2006 da Glauco Mauri. Al tempo trovammo che sarebbe stato più consono intitolare lo spettacolo “Il Giudice e l’Assassino”. Per la drastica riduzione dei personaggi e delle relative storie, operata da Mauri: via la bellissima Dúnecka, sorella minore di Raskòl’nikov, e i due uomini che l’insidiano (Lužin e Svidrigàjlov), scompaiono anche la madre del protagonista (chiave di volta edipica della storia), e i Marmeladov (i genitori di Sònja, la prostituta 18enne doppiamente decisiva nelle risoluzioni di Raskòl’nikov). E non c’è l’eco dell’afosa e maleodorante Pietroburgo, con le sue taverne rumorose e locande malfamate, tra prostitute e ubriaconi, ma solo un vago rumore del lo scorrere della Nevà, nelle cui acque vorrebbe gettarsi il protagonista. I persistenti e ossessivi richiami alla miseria, alla disperazione, al suicidio, costituiscono l’alone del masochismo morale del personaggio e dell’Autore. Come Dostoevskij, il personaggio viene deportato in Siberia, proprio a Omsk. Ma anche l’epilogo è stato tagliato. Nel prologo, Raskòl’nikov rievoca il feroce quanto assurdo delitto compiuto contro una bieca usuraia e la mite sorellastra. Di seguito, obbedendo al subconscio, si affaccia nel commissariato di quartiere, e provoca i sospetti del giudice istruttore Porfirij Petròvic. Il quale prende a giocare con lui “come il gatto con il topo”, forte della conoscenza di un articolo delirante dell’ex studente sul diritto di certi uomini a comportarsi extra legalmente (e fa il nome di Napoleone). Il giudice è anche psicologicamente accorto da comprendere che l’assassino è un tipo speciale, a cui concedere varie attenuanti (anche l’infermità mentale). Il Giudice incarna l’etica contro la scelleratezza che adduce mille giustificazioni (rubare per aiutare madre e sorella, e i poveri di complemento, per completare gli studi in legge, sotto l’influenza delle proposizioni nichiliste). E dunque una “pièce” a due personaggi, ma solo il Giudice, che conserva tutte le battute scritte da Dostoevskij, è una figura di complessa compostezza. Raskòl’nikov è un giovane sì contraddittorio e confuso, ma non porta in cuore il dolore e la sofferenza di madre e sorella, non abbrevia in sé l’inferno della Città. Non ha nessuno a cui potersi “aggrappare” salvo quella Sònja, una Maddalena in sedicesimo, che pallida e affranta promette di seguirlo ovunque lo mandino, ma non può fruire di modi e parole per rivelargli la grandezza del suo animo. Così, Raskòl’nikov non scoprendo d’essere innamorato non si pente del crimine, ma può pronunciare la fatidica frase: “Sono io l’Assassino”, che conferma la tesi del Giudice.
Alberto Cattini
Delitto e castigo al Teatrino d’Arco
Delitto e Castigo: un allestimento che rimarrà negli annali della Campogalliani
11/11/2016
di Maria Luisa Abate
La Stagione al Teatrino d’Arco è iniziata nei nomi di Dostoevskij e di Glauco Mauri. Infatti, quella replicata fino a metà dicembre, è la riduzione teatrale di “Delitto e castigo” firmata dal famoso attore e regista: un focus, uno spot light acceso su due personaggi. Parimenti, i riflettori indirizzati sulla zona centrale del palco hanno evidenziato la spazialità della regia, originale e non emulativa, di Maria Grazia Bettini, che ha tratto i protagonisti alla luce da sfondi semibui, ciechi, universali Un “sogno maledetto”, come indicato nella prima scritta sovraimpressa, in cui sono stati catapultati i soggetti. Il castigo non è tanto quello inferto dal giudice dopo aver smascherato il delitto, accettato moralmente dal sospettato, piuttosto lo spigoloso processo di mutamento interiore di quest’ultimo: una luce intermittente a fendere la nebbia della coscienza allucinata.
Questo allestimento rimarrà uno dei momenti più fulgidi dell’Accademia “Campogalliani” per il valore dei protagonisti, che hanno sostenuto alla pari un paragone attoriale apparentemente improponibile, attorniati da un cast validissimo: l’intensa Alessandra Mattioli e poi Romualdi, Pizzoli, Frignani e Ghion. L’interpretazione di Adolfo Vaini, il sornione giudice Porfirij Petrovič, è stata matura, consapevole, di convincente profondità umana. Rodia si è materializzato dalla pagina alla scena con credibilità pittorica mentre Diego Fusari pennellava alacremente sfaccettature gestuali e posturali, d’espressione e di mimica facciale, inspessendo il tratto sulla caratterialità e sulla psicologia del colpevole, dibattuto sempre più ossessivamente tra conscio e subconscio. Ci inchiniamo a tanta bravura.
CAMPOGALLIANI
“Delitto e castigo”, nella riduzione teatrale di Glauco Mauri, è lo spettacolo che ha inaugurato la stagione della Campogalliani per la regia di Maria Grazia Bettini. Già la grafica del titolo sul...
"Delitto e castigo", nella riduzione teatrale di Glauco Mauri, è lo spettacolo che ha inaugurato la stagione della Campogalliani per la regia di Maria Grazia Bettini. Già la grafica del titolo sul foglio di sala, grondante sangue, richiama i manifesti delle pellicole ispirate ai racconti di E.A.Poe.
L’inclinazione all’horror della regista si palesa apertamente nell’evocazione truculenta dell’eccidio dell’usuraia e della sorella. A sipario aperto, inattese e sorprendenti, appaiono la soluzione scenografica di Pizzoli e Fusari, un muro miserando sul fondo e due sedie al centro, e la scansione delle scene.
Ogni passaggio è marcato con lo spegnimento della luce sul palcoscenico, e la comparsa sul "fondu" nero di didascalie luminose che servono a indicare il tema o il senso del quadro che si proporrà. Il ricorso a simile accorgimento del cinema muto evidenzia la natura particolare dello spettacolo, che si articola in base alla prima didascalia: "in che sogno maledetto mi sto gettando?" E questa costituisce la chiave di lettura onirica o interiore con la quale lo spettacolo della Campogalliani si differenzia dalla interpretazione di Mauri. Va ricordato che Dostoevskij attribuisce a Raskolnikov tante facce quante sono le persone con cui s’intrattiene, finanche un doppio capace di uccidere e di sopprimersi quando non ne può più di sé stesso.
E ancora che "Delitto e castigo" costituisce il laboratorio delle problematiche da cui nascerà la portentosa tetralogia che con "L’idiota" culminerà poi nei "Karamazov".
La Bettini ha avuto la bella intuizione di ovviare ai limiti della riduzione a due personaggi (Mauri e Sturno) forzandola ulteriormente, facendone una sua personale incursione nel subconscio di Raskolnikov, e di gettarlo in un ambiente di pura finzione archeologica o di galleria delle cere.
In simile contesto il delirio del giovane può scivolare sulla buccia dell’intellettuale speciale, uno che distingue gli uomini in comuni e in superiori, che non si curano delle leggi. Lui appartiene al novero dei secondi che si confrontano con Napoleone, quale assassino di massa che veniva onorato come imperatore.
Fatte a pezzi le due sorelle, la mente di Raskolnikov comincia a vaneggiare in preda a disturbi psicosomatici, ad avvertire prepotente l’impulso a confessare, ora a un giudice che intuisce immediatamente il tipo psicolabile, ora a una prostituta che è una sciagurata sua pari.
Senza dimenticare la didascalia che avverte: "l’uomo è un mistero difficile da comprendere". Ma non è difficile scoprirsi, in un momento di lucidità, un "pidocchio", colpevole del delitto a cui corrisponde una "pena".
Di questa singolare e interessante provocazione della Bettini, protagonista assoluto è Diego Fusari, che offre una buona maschera introspettiva, e sfoghi isterici (con cui perora l’innocenza perduta), allo "schizzato" che non avendo o non trovando un posto nel mondo si abbandona a calcoli folli e sprezzanti.
Gli fanno valida corona Adolfo Vaini che riserva a Raskolnikov la condiscendenza mista a ironia di un giudice che paterno lo compatisce, e Alessandra Mattioli che ha slanci affettivi non contemplati dal romanzo, ma tesi a consolarlo di non essere solo. Completano il cast dello spettacolo Michele Romualdi, Daniele Pizzoli, Andrea Frignani. Efficaci la scelta delle musiche di Nicola Martinelli, e l’illuminazione di Giorgio Codognola.
Alberto Cattini
Delitto e castigo al Teatrino d’Arco
Il capolavoro di Dostoevskij viene messo in scena dall’Accademia “Campogalliani” nella riduzione teatrale di Glauco Mauri
29/10/2016
di Maria Luisa Abate
La Stagione 2016 – 2017 al Teatrino d’Arco ha inizio con il capolavoro di Fëdor Dostoevskij "Delitto e castigo", nella riduzione teatrale di Glauco Mauri. Gli attori dell’Accademia Teatrale “Campogalliani” debuttano il titolo sabato 29 ottobre, con repliche fino al 18 dicembre.
Così spiega la regista Maria Grazia Bettini: «C’è molto teatro in questo primo dei grandi romanzi che resero celebre all’estero il nome di Dostoevskij e che rimane il più noto e popolare ancora oggi. Teatrali sono i grandi effetti che accompagnano una vicenda a sfondo poliziesco, ma soprattutto tali risultano essere i rapporti tra il giovane Raskolnikov, autore dell’omicidio di una vecchia usuraia (e, accidentalmente, anche della sorella di lei), e il giudice Porfiri. Ma ci sono riflessioni che sembrano una proiezione del nostro secolo e del nostro presente, dove un uomo uccide a caso centinaia o migliaia di persone per una presunta idea o superiorità.
“l’uomo non comune ha il diritto ... non già un diritto legalizzato ... ma un diritto suo di autorizzare la propria coscienza a scavalcare certi ostacoli – sì, anche il delitto – ma solamente quando una sua idea, utile talvolta per tutta l’umanità, lo esiga.”
“...gli uomini si dividono in due categorie: una inferiore che è composta dagli uomini comuni” che servono unicamente a procreare esseri simili a loro e una superiore, quella degli uomini Veri che hanno il dono e la capacità di annunciare una Parola Nuova.”
“La libertà e il potere! Ecco! Soprattutto il potere! Per schiacciare tutte le creature tremanti, meschine, inutili: tutto il formicaio. Questa è la meta.”
Ed ecco allora il mio interesse a mettere in scena il dialogo fra Dostoevskij, i personaggi e lo spettatore per interrogarsi sull’intera esistenza. Ho pensato all’adattabilità di “Delitto e Castigo” a teatro in primo luogo nello spazio, in cui si possono rintracciare delle caratteristiche fondamentali, che lo rendono adatto a una trasposizione scenica. Infatti la città e le stanze dei personaggi, altro non sono che un bunker dismesso, uno spazio chiuso e ben circoscritto, dove gli stessi luoghi ritornano più volte all’interno della storia in un percorso cieco che il protagonista compie quasi inconsapevolmente immerso nel proprio delirio e dove il muro sbrecciato del fondo è un luogo simile alla mente sul quale i pensieri appaiono come scolpiti. Anche i costumi sono abiti che rappresentano i tormenti dei protagonisti. La recitazione, come un intenso monologo interiore, esprime il carattere indefinito dei personaggi, che altro non sono se non una diretta conseguenza delle loro idee. Le musiche e le luci vogliono valorizzare lo stato di tensione e i passaggi dalla scena al fuori scena».
Personaggi e interpreti: Rodion Romanovic Raskolnikov (Rodia), Diego Fusari; Porfirij Petrovic; Adolfo Vaini; Sofja Semënovna Marmeladova (Sonia), Alessandra Mattioli; Dmitrij Prokofevic Vrazumichin (Rasumichin); Michele Romualdi; Ilja Petrovic, Daniele Pizzoli; Kock,Andrea Frignani.
Nato a Mosca nel 1821, Fëdor Dostoevskij rimase presto orfano di madre; il padre, un medico militare, morì in seguito, alcolizzato. Studiò ingegneria all’Istituto militare di San Pietroburgo. Dopo un periodo trascorso a Mosca (1843) come impiegato statale, si dimise per dedicarsi alla letteratura. Nel 1846 uscirono i fortunati racconti “Povera gente” e il romanzo “Il sosia”.
Permeato, come molti altri intellettuali, da idee socialiste e utopiste, Dostoevskij aderì a un gruppo di giovani liberali. Nel 1849 fu arrestato dalla polizia e, dopo otto mesi di carcere, condannato a morte (22 dicembre 1849); fu quindi condotto, insieme ad altri diciannove compagni, sul luogo dell’esecuzione; poco prima che i gendarmi facessero fuoco, gli fu annunziata la commutazione della pena in quattro anni di lavori forzati in Siberia. Durante la prigionia si ammalò di epilessia. Scontata la pena, si arruolò come soldato.
Nel 1859 poté rientrare a San Pietroburgo, dove si tuffò nell’attività letteraria: con il fratello Michail e altri fondò la rivista Vremja (Il tempo); quindi pubblicò alcuni scritti umoristici e nel 1861 le “Memorie da una casa dei morti”, sulla vita di deportato in Siberia. Il libro colpì lo zar Alessandro II e gli procurò nuova fama, rinsaldata da altri romanzi: “Umiliati e offesi” (1861), “Ricordi dal sottosuolo” (1864), “Delitto e castigo” (1866).
Nel 1866 si risposò con la giovane stenografa Anna Snitkina; poco dopo i due coniugi dovettero fuggire dalla Russia per debiti. Rimasero all’estero per alcuni anni (1867-71), passando dalla Germania alla Svizzera, a Firenze. La morte di una figlioletta, vissuta pochi giorni appena, suscitò nello scrittore un dolore immenso.
“L’idiota” (1868-69) fu accolto freddamente, ma “I demoni” (1873) ottenne grande successo. Dostoevskij e la moglie poterono così rientrare a San Pietroburgo. Pressato dai creditori e dagli impegni con gli editori, scrisse e pubblicò altri due grandi romanzi, “L’adolescente” (1875) e “I fratelli Karamazov” (1879-80). La sua fama era al culmine: nel giugno 1880 tenne la commemorazione pubblica, a Mosca, del centenario di Puskin. Morì il 28 gennaio 1881, onorato con funerali solenni.
Dopo il successo della stagione organizzata dall’Accademia Teatrale Campogalliani al Teatro Sociale di Mantova per celebrare i 70 anni di attività, ora riaprono i battenti del Teatrino di Palazzo D’Arco per la consueta stagione teatrale. Domani debutterà Delitto e castigo di Fedor Dostoevskij nella riduzione teatrale di Glauco Mauri, uno dei più apprezzati attori del panorama teatrale italiano, per la regia di Maria Grazia Bettini. "Delitto e Castigo" è, probabilmente, il romanzo più letto e conosciuto di Dostoevskij, una delle opere letterarie più famose di tutti i tempi e, a partire dal titolo, è il racconto tormentato della presa di coscienza di una colpa e di una redenzione. Nella riduzione teatrale Glauco Mauri ha cercato di raccontare la discesa negli abissi dell’uomo, concentrandosi sull’idea originale di Dostoevskij dalla quale si è poi sviluppato tutto il romanzo: il resoconto psicologico di un delitto. La regista Maria Grazia Bettini ha pensato all’adattabilità di Delitto e castigo a teatro in primo luogo nello spazio, in cui si possono rintracciare delle caratteristiche fondamentali, che lo rendono adatto a una trasposizione scenica. «Infatti - come anticipa una nota - la città e le stanze dei personaggi, altro non sono che un bunker dismesso, uno spazio chiuso e ben circoscritto, dove gli stessi luoghi ritornano più volte all’interno della storia in un percorso cieco che il protagonista compie quasi inconsapevolmente immerso nel proprio delirio e dove il muro sbrecciato del fondo è un luogo simile alla mente sul quale i pensieri appaiono come scolpiti. Anche i costumi sono abiti che rappresentano i tormenti dei protagonisti. La recitazione, come un intenso monologo interiore, esprime il carattere indefinito dei personaggi, che altro non sono se non una diretta conseguenza delle loro idee». Le musiche e le luci vogliono valorizzare lo stato di tensione e i passaggi dalla scena al fuori scena. Gli interpreti: Diego Fusari (Raskòlnikov), Adolfo Vaini (Porfirij Petròvic), Alessandra Mattioli (Sonija), Michele Romualdi (Rasumichin), Daniele Pizzoli (Il’ja Petrovic) e Andrea Frignani e Nicolas Ghion che si alterneranno nel ruolo di Kock. Scenografie di Daniele Pizzoli e Diego Fusari e realizzate dal laboratorio Busoli, i costumi sono di Francesca Campogalliani e Diego Fusari e confezionati dalla sartoria Costapereira, la scelta musicale è stata curata da Nicola Martinelli, il sonoro da Massimiliano Fiordaliso le luci da Giorgio Codognola, la direzione di scena è di Lorenza Becchi e Chiara Benazzi. Repliche fino a domenica 18 dicembre con cadenza settimanale al venerdì e sabato sera alle 20,45 e la domenica alle 16. Prenotazioni alla biglietteria del Teatrino di Palazzo D’Arco (tel. 0376 325363) dal mercoledì al sabato, dalle 17 alle 18,30 o via mail a: biglietteria@teatro-campogalliani.it.
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“ECCELLENTE”
impressioni molto coinvolgenti. da non distrarsi assolutamente vista la bravura degli interpreti e di chi ha messo in scena questo spettacolo. tutti molto molto braviiiii
Definirei lo spettacolo nel suo insieme un ottimo lavoro. Verrò per il prossimo lavoro "Le intellettuali" sono molto curioso. Grazie per ciò che ieri pomeriggio avete donato a me e a mia moglie.
Glauco Mauri è una garanzia
Essenziale, buona come idea di creare e ricreare visto lo spazio "ridotto" del palco condizionato tra l’altro dalla presenza di due colonne dell’impianto architettonico.
Anche i "rumori" immagino da percussioni, essenziali ma equilibrati nel ritmo testo.
Centrati per l’epoca e rispettosi del momento storico in cui è ambientata la vicenda. La sigaretta tecnologica.... ma capisco che la normativa sulla prevenzione incendi abbia condizionato la regia.
Buona, elegante e raffinata.
Attori principali molto bravi e entrati in pieno nel loro personaggio, anche i comprimari di buon livello.
Penso abbia centrato in pieno i contenuti del testo e sia riuscita a dare il giusto taglio alle singole interpretazioni, mettendo in sintonia testo e movimento.
Lo spettacolo è riuscito a parer mio a mantenere alta l’attenzione per tutta la durata senza momenti calanti. Testo a mio avviso non facile, soprattutto quello dei 2 personaggi maggiormente implicati. Nel complesso ottima interpretazione, anche se mi pare di aver notato qualche imperfezione nell’esposizione di alcune parole.
Bravissimi tutti, qualità eccellente come al solito. Personalmente avrei preferito il ruolo di Rodion Romanovic Raskoljnikov meno carico di espressività; secondo me è stato interpretato con eccessiva drammaticizzazione.