“Assenze” è la storia di Helen Bastion, una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e su tutti, è comunque una storia d’amore per la vita. Compaiono i primi vuoti di memoria, all’inizio negati, in seguito mascherati, ma poi inevitabilmente sconvolgenti. “Pensi che mi lascerò andare facilmente? Io lotterò fino alla fine”.
Helen non ha nessuna intenzione di lasciarsi scivolare nell’oblio. Il suo mondo però diventa sempre più caotico. Vorrebbe ritrovare un rapporto con la figlia Barb, che ha deluso le sue attese e provocato la sua disapprovazione, ma le parole perdono via via di significato e il dialogo diventa sempre più difficile. La sua corazza d’acciaio comincia a sgretolarsi. Le sue facoltà mnemoniche diventano sempre più confuse, tuttavia conservano memoria affettiva, intelligenza, astuzia, abilità dialettiche. Helen si sforza disperatamente di trovare un significato ad un’esistenza che sta lentamente e inesorabilmente diventando un “involucro” vuoto... ed ecco appare il dott. Bright. Con lui Helen arriva a valutare in modo nuovo la sua nuova vita senza tempo né memoria, a scoprire un orizzonte diverso, non privo di poesia e leggerezza: “Libera. Mi sento libera”.
“Assenze” è un testo che coinvolge lo spettatore nell’alternarsi di forze contrapposte, cedimenti, paure, sentimenti, e desideri contrastanti, perché vede la realtà attraverso gli occhi di Helen, fa sue le sue visioni, sente non quello che persone dicono, ma ciò che Helen sente: una progressione che diventa un inanellarsi di parole che insieme non hanno senso. Lo spettatore vede le situazioni dal punto di vista di Helen, ossia dall’interno della sua inafferrabile, odiata e infine amata condizione.
La forza del testo sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di una vicenda che per sua natura è cruda, disarmante ma anche affascinante.
La sfida della messinscena si è dimostrata subito ardua: ambienti diversi nei quali collocare la storia e i suoi protagonisti, salti temporali da sottolineare durante lo svolgimento delle varie scene. Per dipanare questa matassa mi sono affidato all’uso finalizzato delle luci, agli effetti sonori e alle musiche che devono scandire i diversi momenti della storia.
Impegnativo il personaggio del dott. Bright che si materializza nella mente di Helen e alla vista degli spettatori, ma non a quella degli altri interpreti. Al dott. Bright (in traduzione “luminoso, gioioso, allegro”) ho imposto una recitazione sfaccettata, misteriosa, a volte beffarda, dolce ma cruda, sincera.
La scena rappresenta lo skyline di una città americana. Si tratta quindi di un esterno, ma può essere anche un interno, un piano su cui far comparire immagini di ricordi, o una barriera tra la protagonista e gli altri personaggi. Gli elementi d’arredo sono al minimo: la poltrona di Helen, suo luogo di sicurezza, e il divano-lettino d’ospedale. Insomma tutto ridotto all’essenziale per lasciare agli spettatori la possibilità di concentrarsi senza distrazioni, di entrare nella storia, di ascoltarla e vederla con gli occhi della protagonista.
Peter M. Floyd, nativo del New Hampshire, si è laureato in scienze politiche al MIT di Boston, dove vive. Si è sempre interessato al teatro e ha cominciato a lavorare come attore e regista con numerosi gruppi teatrali locali. La sua carriera di autore ha avuto inizio nel 2005 con la commedia breve “The Little Death” e da allora non ha più smesso di scrivere per il teatro. Nel 2010 ha cominciato a studiare drammaturgia alla Boston University, ottenendo il titolo di Master of Fine Arts nel gennaio 2012. Durante il suo corso di studi ha composto “Absence” che, dopo aver vinto numerosi premi, è andato in scena con grande successo al Boston Playwrights’ Theatre nel 2014.
MANTOVA. Sabato 9 febbraio alle 20.45 al Teatrino di Palazzo D’Arco debutterà il quarto spettacolo della stagione teatrale dell’Accademia Campogalliani: “Assenze” testo contemporaneo di Peter Floyd, per la regia di Mario Zolin. Per l’occasione sarà presente l’autore, che viene direttamente da Boston per assistere alla rappresentazione della storica compagnia mantovana e la traduttrice Antonia Brancati, figlia dello scrittore Vitaliano Brancati e dell’attrice Anna Proclemer. “Assenze” è una storia d’amore, è la storia di Helen Bastion , una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e tutti, è comunque una storia d’amore.
Gli interpreti dello spettacolo sono: Francesca Campogalliani (nel ruolo di Helen Bastion), Mario Zolin (il marito David), Eleonora Ghisi (la figlia Barb), Margherita Governi (la nipote Samantha), Gabriella Pezzoli (la dott.ssa Delane/la Sig.ra Moss), Stefano Bonisoli (il dott. Bright) e Cecilia Cantarelli (la voce di Helen da bambina). Le scenografie sono state ideate dallo stesso regista Mario Zolin e da Diego Fusari che ha pure curato i costumi insieme a Francesca Campogalliani, gli interventi sonori originali da Nicola Martinelli, le luci da Giorgio Codognola, la direzione scenica è di Marina Alberini e la realizzazione delle scenografie è stata effettuata da Enzo Busoli.
Le repliche si susseguiranno fino al 24 marzo con rappresentazioni al venerdì e sabato sera alle 20,45 e le domeniche alle 16. Le prenotazioni si possono già effettuare alla la biglietteria del Teatrino di Palazzo D’Arco dal mercoledì al sabato dalle 17 alle 18,30 (tel. 0376 325363 o via mail : biglietteria@teatro-campogalliani.it). —
In calce all’articolo della GAZZETTA DI MANTOVA riportiamo alcune immagini dell’incontro con lo scrittore Peter Floyd e la traduttrice del testo Antonia Brancati in occasione della prima rappresentazione 2019 dello spettacolo.
Sabato 9 febbraio alle ore 20,45 al Teatrino di Palazzo D’Arco debutterà il quarto spettacolo della stagione teatrale dell’Accademia Teatrale Campogalliani 2018-2019: “ASSENZE” testo contemporaneo di Peter Floyd, per la regia di Mario Zolin. Per l’occasione sarà presente l’autore, che viene direttamente da Boston per assistere alla rappresentazione della storica compagnia mantovana e la traduttrice Antonia Brancati, figlia dello scrittore Vitaliano Brancati e dell’attrice Anna Proclemer.
“Assenze” è una storia d’amore, è la storia di Helen Bastion, una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e tutti, è comunque una storia d’amore.
Compaiono i primi vuoti di memoria, all’inizio negati, in seguito mascherati, ma poi inevitabilmente sconvolgenti.
Helen non ha nessuna intenzione di lasciarsi scivolare nell’oblio.
Il suo mondo però diventa sempre più caotico. Vorrebbe ritrovare un rapporto con la figlia Barb, che ha deluso le sue attese e provocato la sua disapprovazione, ma le parole perdono via via di significato e il dialogo diventa sempre più difficile.
La sua corazza d’acciaio comincia a sgretolarsi .
Le sue facoltà mnemoniche diventano sempre più confuse, tuttavia conservano memoria affettiva, sensibilità, intelligenza, astuzia, abilità dialettica. Helen si sforza disperatamente di trovare un significato ad una esistenza che sta lentamente ed inesorabilmente diventando un “involucro” vuoto…ed ecco appare il dott. Bright.
Con lui Helen arriva a valutare in modo nuovo la sua nuova vita senza tempo né memoria, a scoprire un orizzonte diverso, non privo di poesia e leggerezza: dichiara Helen “ Libera. Mi sento libera….”.
Una storia vissuta attraverso le mille mutevoli sfaccettature di una mente le cui facoltà mnemoniche diventano sempre più deboli e confuse. E tuttavia, poiché conservano memoria affettiva, sensibilità, intelligenza, astuzia, abilità dialettica, capacità d’amare e di lottare, alla fine sanno valutare anche in modo nuovo la caratura morale della vita e dei suoi valori.
Ecco allora che, attraverso un intrecciarsi vivace e inatteso di diverse specie d’amore, la vicenda prende vita, colore e svolte impreviste. Vi si avvicendano incontri, dialoghi, scontri, in ognuno dei quali i rapporti si sviluppano su piani abilmente diversi eppure tutti convergenti verso il progressivo smarrirsi della protagonista in un universo mentale in cui il mondo che la circonda perde chiarezza, mentre acquista imprevedibilmente importanza la combattuta scoperta di un orizzonte nuovo, diverso e non privo di poesia e leggerezza.
E’ un testo che coinvolge lo spettatore nell’alternarsi di forze contrapposte, cedimenti, paure, sentimenti e desideri contrastanti, perché vede la realtà attraverso gli occhi di Helen, fa sue le sue visioni, sente non quello che le persone dicono, ma ciò che Helen sente: una progressione che diventa un inanellarsi di parole che insieme non hanno senso.
Lo spettatore vede le situazioni dal punto di vista di Helen, ossia dall’interno della sua inafferrabile, odiata e infine amata condizione.
La forza del testo sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di una vicenda che per sua natura è cruda, disarmante ma anche affascinante.
La sfida della messinscena si è dimostrata subito ardua: ambienti diversi nei quali collocare la storia e i suoi protagonisti, salti temporali da sottolineare durante lo svolgimento delle varie scene.
Per dipanare questa matassa il regista Mario Zolin si è affidato all’ uso finalizzato delle luci, agli effetti sonori e alle musiche che devono scandire i diversi momenti della storia.
La scenografia ricorda lo skyline di una città americana. Si tratta quindi di un esterno, ma può essere anche un interno, un piano su cui far comparire immagini di ricordi, o una barriera tra la protagonista e gli altri personaggi .Gli elementi d’arredo sono al minimo: la poltrona di Helen, suo luogo di sicurezza, e il divano-lettino d’ospedale. Insomma tutto ridotto all’essenziale per lasciare agli spettatori la possibilità di concentrarsi senza distrazioni, di entrare nella storia, di ascoltarla e vederla con le orecchie e gli occhi della protagonista.
Gli interpreti dello spettacolo sono: Francesca Campogalliani (nel ruolo di Helen Bastion), Mario Zolin (il marito David), Eleonora Ghisi (la figlia Barb), Margherita Governi (la nipote Samantha), Gabriella Pezzoli (la Dott.ssa Delane/la Sig.ra Moss), Stefano Bonisoli (il dott. Bright) e Cecilia Cantarelli (la voce di Helen da bambina).
Le scenografie sono stati ideate dallo stesso regista Mario Zolin e da Diego Fusari che ha pure curato i costumi insieme a Francesca Campogalliani, gli interventi sonori originali da Nicola Martinelli, le luci da Giorgio Codognola, la direzione scenica è di Marina Alberini e la realizzazione delle scenografie è stata effettuata da Enzo Busoli.
Le repliche si susseguiranno fino al 24 marzo con rappresentazioni al venerdì e sabato sera alle 20,45 e le domeniche alle ore 16. Le prenotazioni si possono già effettuare presso la biglietteria del Teatrino di Palazzo D’Arco dal mercoledì al sabato dalle ore 17 alle ore 18,30 (tel. 0376 325363 o via mail : biglietteria@teatro-campogalliani.it)
7 febbraio 2019
Sabato 9 febbraio alle ore 20,45 al Teatrino di Palazzo D’Arco debutterà il quarto spettacolo ella stagione teatrale dell’Accademia Teatrale Campogalliani 2018-2019: “ASSENZE” testo contemporaneo di Peter Floyd, per la regia di Mario Zolin.
Direttamente da Boston, sarà presente alla prima, l’autore Floyd per assistere alla rappresentazione della storica compagnia mantovana e la traduttrice Antonia Brancati, figlia dello scrittore Vitaliano Brancati e dell’attrice Anna Proclemer.
“Assenze” è una storia d’amore, è la storia di Helen Bastion , una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e tutti, è comunque una storia d’amore.
Compaiono i primi vuoti di memoria, all’inizio negati, in seguito mascherati, ma poi inevitabilmente sconvolgenti.
Helen non ha nessuna intenzione di lasciarsi scivolare nell’oblio.
Il suo mondo però diventa sempre più caotico. Vorrebbe ritrovare un rapporto con la figlia Barb, che ha deluso le sue attese e provocato la sua disapprovazione, ma le parole perdono via via di significato e il dialogo diventa sempre più difficile.
La sua corazza d’acciaio comincia a sgretolarsi .
Le sue facoltà mnemoniche diventano sempre più confuse, tuttavia conservano memoria affettiva, sensibilità, intelligenza, astuzia, abilità dialettica. Helen si sforza disperatamente di trovare un significato ad una esistenza che sta lentamente ed inesorabilmente diventando un “involucro” vuoto…ed ecco appare il dott. Bright.
Con lui Helen arriva a valutare in modo nuovo la sua nuova vita senza tempo né memoria, a scoprire un orizzonte diverso, non privo di poesia e leggerezza: dichiara Helen “ Libera. Mi sento libera….”.
Una storia vissuta attraverso le mille mutevoli sfaccettature di una mente le cui facoltà mnemoniche diventano sempre più deboli e confuse. E tuttavia, poiché conservano memoria affettiva, sensibilità, intelligenza, astuzia, abilità dialettica, capacità d’amare e di lottare, alla fine sanno valutare anche in modo nuovo la caratura morale della vita e dei suoi valori.
Ecco allora che, attraverso un intrecciarsi vivace e inatteso di diverse specie d’amore, la vicenda prende vita, colore e svolte impreviste. Vi si avvicendano incontri, dialoghi, scontri, in ognuno dei quali i rapporti si sviluppano su piani abilmente diversi eppure tutti convergenti verso il progressivo smarrirsi della protagonista in un universo mentale in cui il mondo che la circonda perde chiarezza, mentre acquista imprevedibilmente importanza la combattuta scoperta di un orizzonte nuovo, diverso e non privo di poesia e leggerezza.
È un testo che coinvolge lo spettatore nell’alternarsi di forze contrapposte, cedimenti, paure, sentimenti e desideri contrastanti, perché vede la realtà attraverso gli occhi di Helen, fa sue le sue visioni, sente non quello che le persone dicono, ma ciò che Helen sente: una progressione che diventa un inanellarsi di parole che insieme non hanno senso.
Lo spettatore vede le situazioni dal punto di vista di Helen, ossia dall’interno della sua inafferrabile, odiata e infine amata condizione.
La forza del testo sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di una vicenda che per sua natura è cruda, disarmante ma anche affascinante .
La sfida della messinscena si è dimostrata subito ardua: ambienti diversi nei quali collocare la storia e i suoi protagonisti, salti temporali da sottolineare durante lo svolgimento delle varie scene.
Per dipanare questa matassa il regista Mario Zolin si è affidato all’ uso finalizzato delle luci, agli effetti sonori e alle musiche che devono scandire i diversi momenti della storia.
La scenografia ricorda lo skyline di una città americana. Si tratta quindi di un esterno, ma può essere anche un interno, un piano su cui far comparire immagini di ricordi, o una barriera tra la protagonista e gli altri personaggi. Gli elementi d’arredo sono al minimo: la poltrona di Helen, suo luogo di sicurezza, e il divano-lettino d’ospedale. Insomma tutto ridotto all’essenziale per lasciare agli spettatori la possibilità di concentrarsi senza distrazioni, di entrare nella storia, di ascoltarla e vederla con le orecchie e gli occhi della protagonista.
INTERPRETI:
Le scenografie sono stati ideate dallo stesso regista Mario Zolin e da Diego Fusari che ha pure curato i costumi insieme a Francesca Campogalliani, gli interventi sonori originali da Nicola Martinelli, le luci da Giorgio Codognola, la direzione scenica è di Marina Alberini e la realizzazione delle scenografie è stata effettuata da Enzo Busoli.
Le repliche si susseguiranno fino al 24 marzo con rappresentazioni al venerdì e sabato sera alle 20,45 e le domeniche alle ore 16.
Le prenotazioni si possono già effettuare presso la biglietteria del Teatrino di Palazzo D’Arco dal mercoledì al sabato dalle ore 17 alle ore 18,30 (tel. 0376 325363 o via mail : biglietteria@teatro-campogalliani.it)
(foto Acc. Campogalliani)
Dalla luce al buio, fuori del tempo
3 Marzo 2017
«Ti ho liberata dal tempo» sorride l’uomo dall’abito candido. «Si, mi sento libera» risponde la donna. Resta lei sola, vuota come una buccia di banana, dopo che si sono progressivamente dissolti i ricordi, i sentimenti, ma anche i rimorsi e le paure. Il rassicurante salvatore biancovestito personifica il delirio di una mente affetta da demenza, che l’Accademia Campogalliani tratta con delicatezza, nell’oggettiva spaventosità. I primi segnali sono impercettibili poi attaccano anche il nucleo famigliare, che fatica ad accettare, a rapportarsi allo spietato progredire della malattia, dagli esiti identici sia che la si combatta o che ci si arrenda. La scena presenta sagome spigolose, disposte in una fuga prospettica dalla luce verso il buio, fino alle “Assenze" che l’autore Peter M. Floyd narra tramite ciò che percepisce l’inferma. Protagonista di razza è Francesca Campogalliani, magistralmente drammatica nel cingere Helen di commovente veridicità, di lacerante umanità. Accanto a lei Mario Zolin, marito affettuoso presto capitolato; la figlia, Eleonora Ghisi d’intensa espressività negli eloqui farciti di parole assurde, come le fa percepire la malattia; la nipote, Margherita Governi, dalla recitazione tanto fresca quanto convincente; Gabriella Pezzoli, dottoressa pragmatica; Stefano Bonisoli a dar corpo, leggerezza e gioiosità alle allucinazioni; infine la tenera voce fuori campo di Cecilia Cantarelli. Un bravo allo stesso Zolin alla regia che, nel lieto giro di danza tra la donna e il suo immaginario, in quel breve surreale non-sense, racchiude il significato dell’intero spettacolo.
CAMPOGALLIANI
Un interno domestico si staglia su un profilo di case sghembe, aguzze, con un cenno di schema labirintico. Giusto la proiezione dello stato mentale smarrito, sul punto di derealizzarsi, di Helen...
Un interno domestico si staglia su un profilo di case sghembe, aguzze, con un cenno di schema labirintico. Giusto la proiezione dello stato mentale smarrito, sul punto di derealizzarsi, di Helen Bastion, signora di 76 anni. Chiusa nel suo bozzolo, non fa che rimuginare un ricordo d’infanzia, il giorno in cui il padre tornò dalla guerra. Un sipario che la inonda d’affetto, ma che risaputo annoia marito e figlia, preoccupati dei suoi vuoti di memoria breve, che le provocano panico, nelle passeggiate per le strade del quartiere che non riconosce più. Indelicatamente tendono a riprenderla, e la innervosiscono con le pressioni di una visita alla dottoressa. Lei rifiuta, quelli insistono, e sortiscono i battibecchi immancabili in un interno americano. È il tema Assenze, dramma sull’alzheimer di Peter Floyd, nome nuovo della scena americana. In Italia, prima volta, per opera della Campogalliani. La pièce è costruita con abilità e sagacia: per 100 minuti di spettacolo, senza cambi di scena (Zolin e Fusari), solo d’illuminazione (Codognola), e accorte scelte musicali, specie quel contrappunto sentimentale all’attacco e alla fine (Martinelli), corre verso la morte ineluttabile. Il tempo è compresso, finanche in uno stesso dialogo, e fugge via con le parole inopportune, i fantasmi della mente, i congiunti che svaniscono e riappaiono mesi dopo.
Anche gli spazi sono un unico spazio, il salotto diventa l’abitazione della figlia, poi la stanza in una struttura protetta. La morte giunge in un attimo, come in un baleno s’è consumata l’esistenza. La comunicazione si fa quasi impossibile, quando i significati si volatilizzano nella mente di Helen, che raccoglie suoni insensati. Il dialogo privilegiato è con l’ombra d’un medico, che esiste solo nel suo sipario mentale. Lo connota come un simbolo sessuale, e lo accetta facendosi dire che il matrimonio “è stato un trauma durato 50 anni”. Quell’ombra giovanile serve a evocare i suoi 30 anni, i corteggiamenti e le note su cui ballava, e gratificando la sua vanità ne vince la paura (nell’America benestante c’è una figura professionale, non religiosa, che aiuta a morire). Ma prima, Helen cerca di riconciliarsi con la figlia, sa d’averla oppressa con la volontà di realizzare le sue ambizioni attraverso i suoi successi. Patetica e commovente auspicherebbe un po’ di complicità. Francesca Campogalliani, a disagio coi litigi, cresce moltissimo nella 2ª parte, ed è Helen, anima e corpo. Piace la misura di Eleonora Ghisi (Barbara), cattiva e banale al punto giusto con l’odiosa amata madre, cui ripete: «Lo fai apposta, hai sempre saputo come rendermi infelice». E funziona la leggerezza di Stefano Bonisoli, il medico (ma non canti Sinatra). Completano il cast Gabriella Pezzoli (dottoressa e direttrice), Margherita Governi (la nipote) e Mario Zolin (il marito). La regia di Zolin governa il testo con mano sicura.
Alberto Cattini
“Assenze” al Teatrino d’Arco
Sabato sera l’Accademia Campogalliani ha debuttato con il dramma Assenze, dell’americano Peter M. Floyd – prima italiana, nella traduzione di Antonia Brancati. E cominciamo col dire che si tratta di una faccenda intensa e potente, la cronaca dello sgretolarsi progressivo della coscienza e delle percezioni sotto l’attacco della demenza senile (o forse del morbo di Alzheimer).
La coscienza (così come il punto di vista) è quella di Helen Bastion, donna forte in modi non sempre amabili, ostinatamente aggrappata ai suoi ricordi, anche i più lontani, e a un ferreo controllo di se stessa, della sua vita e del rassegnato marito David. O almeno così vuole e crede – perché fin dal principio la questione centrale è proprio questa: quanto di quello che Helen sa è, è ancora o è mai stato vero?
Il resto è un’acuta e dolorosa narrazione della mente di Helen che frana inesorabilmente, attraverso un susseguirsi tesissimo di monologhi e dialoghi – con il marito, con la figlia che ha passato la vita cercando di sottrarsi al controllo materno, con la nipote adolescente, con il medico… Anzi, con i medici – ma di questo non voglio dire troppo, perché uno degli aspetti più struggenti di Assenze è proprio ciò che succede nella mente di Helen, mentre il tempo, il linguaggio e le certezze scivolano via, ed è qualcosa, credo, che ogni spettatore dovrebbe scoprire da sé. Cattura
E di questo testo asciutto e intelligente la Campogalliani fa meraviglie. La regia di Mario Zolin (anche sensibile interprete di David Bastion) usa con finezza e grande efficacia linee oblique, colori e le musiche di Nicola Martinelli per restituire il distorcersi del mondo di Helen – una magnifica Francesca Campogalliani. Attorno si muovono, bravissimi, la Barb impaziente e vulnerabile di Eleonora Ghisi, la Samantha ribelle e smarrita della giovanissima Margherita Governi, l’umana dottoressa Dalane di Gabriella Pezzoli e il surreale dottor Bright di Stefano Bonisoli.
Il risultato è un’ora e mezza di splendido teatro, uno spettacolo intenso, lucido e toccante* che, raccontando il dramma di una famiglia come tante, solleva una delle questioni più profonde: che cosa ci rende noi stessi?
Una volta di più: well done, Campogalliani!
Mantova La stagione teatrale dell’Accademia Campogalliani continua con la proposta di una novità assoluta per il panorama teatrale italiano: domani sera alle ore 20.45 al Teatrino di Palazzo D’Arco andrà in scena “Assenze” testo contemporaneo scritto da Peter Floyd, per la traduzione di Antonia Brancati e con la regia di Mario Zolin. E’ un testo che coinvolge lo spettatore nell’alternarsi di forze contrapposte, cedimenti, paure, sentimenti e desideri contrastanti, perché vede la realtà attraverso gli occhi di Helen, fa sue le sue visioni, sente non quello che le persone dicono, ma ciò che Helen sente: una progressione che diventa un inanellarsi di parole che insieme non hanno senso. Le repliche si susseguiranno fino al 23 marzo con rappresentazioni al venerdì e sabato sera alle 20,45 e le domeniche alle ore 16.
Assenze
Il testo dell’autore contemporaneo Peter Floyd al Teatrino D’Arco fino alla fine di marzo
17/02/2017
“Assenze” è un testo di Peter M. Floyd che coinvolge lo spettatore nell’alternarsi di forze contrapposte, cedimenti, paure, sentimenti, e desideri contrastanti, perché vede la realtà attraverso gli occhi di Helen, fa sue le sue visioni, sente non quello che persone dicono, ma ciò che Helen sente: una progressione che diventa un inanellarsi di parole che insieme non hanno senso. Lo spettatore vede le situazioni dal punto di vista di Helen, ossia dall’interno della sua inafferrabile, odiata e infine amata condizione. Con l’Accademia “Campogalliani”, al Teatrino d’Arco, nella traduzione di Antonia Brancati e per la regia di Mario Zolin, da sabato 18 febbraio fino a domenica 16 marzo.
“Assenze” è la storia di Helen Bastion, una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e su tutti, è comunque una storia d’amore per la vita. Compaiono i primi vuoti di memoria, all’inizio negati, in seguito mascherati, ma poi inevitabilmente sconvolgenti. “Pensi che mi lascerò andare facilmente? Io lotterò fino alla fine”. Helen non ha nessuna intenzione di lasciarsi scivolare nell’oblio. Il suo mondo però diventa sempre più caotico. Vorrebbe ritrovare un rapporto con la figlia Barb, che ha deluso le sue attese e provocato la sua disapprovazione, ma le parole perdono via via di significato e il dialogo diventa sempre più difficile. La sua corazza d’acciaio comincia a sgretolarsi. Le sue facoltà mnemoniche diventano sempre più confuse, tuttavia conservano memoria affettiva, intelligenza, astuzia, abilità dialettiche. Helen si sforza disperatamente di trovare un significato ad un’esistenza che sta lentamente e inesorabilmente diventando un “involucro” vuotoÂ
ed ecco appare il dott. Bright. Con lui Helen arriva a valutare in modo nuovo la sua nuova vita senza tempo né memoria, a scoprire un orizzonte diverso, non privo di poesia e leggerezza: “Libera. Mi sento libera”.
Spiega Mario Zolin nelle note di regia: «La forza del testo sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di una vicenda che per sua natura è cruda, disarmante ma anche affascinante. La sfida della messinscena si è dimostrata subito ardua: ambienti diversi nei quali collocare la storia e i suoi protagonisti, salti temporali da sottolineare durante lo svolgimento delle varie scene. Per dipanare questa matassa mi sono affidato all’uso finalizzato delle luci, agli effetti sonori e alle musiche che devono scandire i diversi momenti della storia. Impegnativo il personaggio del dott. Bright che si materializza nella mente di Helen e alla vista degli spettatori, ma non a quella degli altri interpreti. Al dott. Bright (in traduzione “luminoso, gioioso, allegro”) ho imposto una recitazione sfaccettata, misteriosa, a volte beffarda, dolce ma cruda, sincera. La scena rappresenta lo skyline di una città americana. Si tratta quindi di un esterno, ma può essere anche un interno, un piano su cui far comparire immagini di ricordi, o una barriera tra la protagonista e gli altri personaggi. Gli elementi d’arredo sono al minimo: la poltrona di Helen, suo luogo di sicurezza, e il divano-lettino d’ospedale. Insomma tutto ridotto all’essenziale per lasciare agli spettatori la possibilità di concentrarsi senza distrazioni, di entrare nella storia, di ascoltarla e vederla con gli occhi della protagonista».
Peter M. Floyd, nativo del New Hampshire, si è laureato in scienze politiche al MIT di Boston, dove vive. Si è sempre interessato al teatro e ha cominciato a lavorare come attore e regista con numerosi gruppi teatrali locali. La sua carriera di autore ha avuto inizio nel 2005 con la commedia breve “The Little Death” e da allora non ha più smesso di scrivere per il teatro. Nel 2010 ha cominciato a studiare drammaturgia alla Boston University, ottenendo il titolo di Master of Fine Arts nel gennaio 2012. Durante il suo corso di studi ha composto “Absence” che, dopo aver vinto numerosi premi, è andato in scena con grande successo al Boston Playwrights’ Theatre nel 2014.
Peter M. Floyd, nativo del New Hampshire, si è laureato in scienze politiche al MIT di Boston, dove vive. Si è sempre interessato al teatro e ha cominciato a lavorare come attore e regista con numerosi gruppi teatrali locali. La sua carriera di autore ha avuto inizio nel 2005 con la commedia breve “The Little Death” e da allora non ha più smesso di scrivere per il teatro. Nel 2010 ha cominciato a studiare drammaturgia alla Boston University, ottenendo il titolo di Master of Fine Arts nel gennaio 2012. Durante il suo corso di studi ha composto “Absence” che, dopo aver vinto numerosi premi, è andato in scena con grande successo al Boston Playwrights’ Theatre nel 2014.
Personaggi e interpreti: Helen Bastion, Francesca Campogalliani; David Bastion, Mario Zolin; Barb, la loro figlia, Eleonora Ghisi; Samantha, figlia di Barb, Margherita Governi; Dott. Dalane / Sig. Moss, Gabriella Pezzoli; Dott. Bright, Stefano Bonisoli; Voce di Helen da bambina, Cecilia Cantarelli.
L’intensa stagione teatrale dell’Accademia Campogalliani proseguirà sabato 18 febbraio alle 20.45 al Teatrino di Palazzo d’Arco con un debutto in anteprima assoluta per l’Italia del testo contemporaneo Assenze di Peter Floyd, tradotto da Antonia Brancati, per la regia di Mario Zolin. Come sempre la storica compagnia mantovana è attenta a proporre, accanto a testi classici o di più immediato condivisione, autori di teatro contemporaneo italiano o straniero e spesso novità assolute, come in questo caso. Peter Floyd, nativo del New Hampshire, laureato in scienze politiche al MIT di Boston, dove vive, si è sempre interessato al teatro e ha cominciato a lavorare come attore e regista con numerosi gruppi teatrali locali. La sua carriera di autore ha avuto inizio nel 2005 con la commedia breve The Little Death e da allora non ha più smesso di scrivere per il teatro. Nel 2010 ha cominciato a studiare drammaturgia alla Boston University, ottenendo il titolo di Master of Fine Arts nel gennaio 2012. Durante il suo corso di studi ha composto Absence che, dopo aver vinto numerosi premi, è andato in scena con successo al Boston Plywrights Theatre nel 2014. Assenze è una storia d’amore, la storia di Helen Bastion, una matura matriarca con una volontà di ferro. Anche se in famiglia i rapporti sono difficili per la sua infaticabile azione di controllo su tutto e tutti, è comunque una storia d’amore. Compaiono i primi vuoti di memoria, all’inizio negati, in seguito mascherati, ma poi inevitabilmente sconvolgenti. Helen non ha alcuna intenzione di lasciarsi scivolare nell’oblio. Il suo mondo però diventa sempre più caotico. Vorrebbe ritrovare un rapporto con la figlia Barb, che ha deluso le sue attese e provocato la sua disapprovazione, ma le parole perdono via via di significato e il dialogo diventa sempre più difficile. La sua corazza d’acciaio comincia a sgretolarsi. Le sue facoltà mnemoniche diventano sempre più confuse, tuttavia conservano memoria affettiva, sensibilità, intelligenza, astuzia, abilità dialettica. Helen si sforza disperatamente di trovare un significato a una esistenza che sta lentamente e inesorabilmente diventando un involucro vuoto… ed ecco apparire il dottor Bright. Con lui Helen arriva a valutare in modo nuovo la sua nuova vita senza tempo né memoria, a scoprire un orizzonte diverso, non privo di poesia e leggerezza: dichiara Helen "Libera. Mi sento libera….". La forza del testo sta nella capacità di proiettare lo spettatore all’interno di una vicenda che per sua natura è cruda, disarmante ma anche affascinante. La sfida della messinscena si è dimostrata subito ardua: ambienti diversi nei quali collocare la storia e i suoi protagonisti, salti temporali da sottolineare durante lo svolgimento delle varie scene. Per dipanare questa matassa il regista Mario Zolin si è affidato all’uso finalizzato delle luci, agli effetti sonori e alle musiche che devono scandire i diversi momenti della storia. La scenografia ricorda lo skyline di una città americana. Si tratta quindi di un esterno, ma può essere anche un interno, un piano su cui far comparire immagini di ricordi, o una barriera tra la protagonista e gli altri personaggi. Gli elementi d’arredo sono al minimo. Gli interpreti: Francesca Campogalliani (nel ruolo di Helen Bastion), Mario Zolin (il marito David), Eleonora Ghisi (la figlia Barb), Margherita Governi (la nipote Samantha), Gabriella Pezzoli (la dottoressa Delane/la signora Moss), Stefano Bonisoli (il dottor Bright) e Cecilia Cantarelli (la voce di Helen da bambina). Le scenografie e i costumi sono stati ideati dallo stesso regista Mario Zolin e da Diego Fusari, gli interventi sonori originali da Nicola Martinelli, le luci da Giorgio Codognola, la direzione scenica è di Marina Alberini, scenografie di Enzo Busoli. Repliche fino al 23 marzo con rappresentazioni al venerdì e sabato alle 20.45 e le domeniche alle 16. Le prenotazioni si possono già effettuare alla biglietteria del Teatrino di Palazzo d’Arco dal mercoledì al sabato dalle 17 alle 18.30 (0376 325363 o via mail: biglietteria@teatro-campogalliani.it)
95%
“ECCELLENTE”
È stata molto coinvolgente ed essendo accompagnata da mia figlia cinquantenne ..siamo uscite molto commosse e piangenti !!Conoscendo la particolare bravitu la naturalezza data dalla esperienza Sì ma da un grande talento della Signora Francesca non possiamo che complimentarmi a non finire.
Il testo è intenso. Sembra scritto da Philip Roth. Molto americano. Ma la riduzione operata dalla Campogalliani lo rende meno materialista e cinico. Ottima regia e scenografia che risultano molto unite a rappresentare la drammaticità. Francesca una fuoriclasse ma niente male anche la figlia e la nipote. Che meraviglia il teatro! Che bella la musica!
Non siamo abituati a questi temi. Gli americani sono più laici ma un po’meno portici. Sono però contenta di averlo conosciuto
Intensa e adatta a colonna sonora del testo